L'ultima cosa che aveva in mente quella sera Maurizio De Giovanni, era di dare vita a un altro personaggio. Doveva consegnare all'editore il secondo capitolo della serie noir-esoterica dei «Guardiani», poi doveva preparare «il Ricciardi» per l'estate - il commissario a cui deve la gloria degli esordi - e c'era anche da pensare al nuovo libro dei Bastardi («Credo di esser l'unico giallista italiano a portare avanti contemporaneamente tre serie»), ma il mistero è imprevedibile, e non esiste una città che sa riservare sorprese come Napoli.
«E così, una sera tardi del dicembre scorso, a Napoli, tornando a casa, in scooter, mentre sto aspettando che si apra il portone, illumino con i fari della moto un'auto in sosta. Dentro c'è una donna, i cui tratti del volto, giovanili, contrastano con i capelli corti, grigi. Non c'era accordo tra le due cose... Lei non guarda verso di me, evita la luce, è indifferente. E io rimango con la mia curiosità: cosa ci fa qui, a quest'ora, una donna che sembra voler sparire?».
E chi era?
«Ecco, appunto. Poco dopo, parcheggiato lo scooter, torno fuori. E non c'è più l'auto. A letto, ho continuato a pensarci. Cosa faceva di notte una donna in auto? Aspettava qualcuno? Perché, così giovane, aveva i capelli grigi? Poi, alla mattina sono arrivate tutte le risposte. Sapevo il suo nome, cosa faceva, chi era... Ero pronto».
A fare cosa?
«A telefonare al mio editore e dire che rinviavo tutti gli altri progetti. E mi mettevo a scrivere una cosa nuova. Quel personaggio era così forte, contrastato, impenetrabile... Dovevo dargli una storia».
Ed ecco Sara al tramonto, la nuova serie di Maurizio De Giovanni che - così annuncia l'editore Rizzoli - «riscrive al femminile il noir italiano». Chi è Sara?
«Una donna poliziotto di 55 anni, che per trenta ha lavorato in una Unità dei Servizi che si occupa di intercettazioni non autorizzate. Lei è la migliore a interpretare il labiale, la postura, i gesti di una persona... Non ha un passato facile: quando entrò in polizia si innamorò del suo capo, di 25 anni più vecchio, e per il quale ha lasciato marito, figli e poi anche il lavoro. Ora lui è morto, e lei è in pensione...».
Ma?
«Ma viene richiamata dal nuovo capo della vecchia Unità, una giovane donna. Che le propone di tornare in servizio. Ma in modo particolare... Nel corso di certe inchieste, usando le intercettazioni, spesso i suoi ex colleghi si imbattono in reati che non possono denunciare. E sono stanchi di rimanere testimoni silenti di casi di pedofilia, di violenze private, di sfruttamento della prostituzione... Sara - è la domanda che le rivolgono - sei disposta a occuparti del lavoro sporco?».
E la sventurata rispose.
«Sì. Torna in azione. E la sua caratteristica è che non si fida mai delle verità più ovvie... Un bel personaggio. Non è vero?».
Un personaggio femminile, soprattutto. Poliziotte, investigatrici private, commissarie... Le donne si sono prese il noir italiano. È una moda?
«Le quote rosa del giallo è una bella battuta. Ma parlo per me: è un puro caso. Paradossalmente, poi, il mio personaggio donna è il meno femminile che abbia mai creato. Non ci sono risvolti sentimentali nella mia storia, solo qualche ricordo amoroso...».
Però in Italia il lettore-forte è in percentuale maggiore una donna. Scrivere pensando a loro può essere un vantaggio dal punto di vista delle vendite.
«È vero. Mentre gli uomini prediligono la saggistica, più concreta, la narrativa è letta soprattutto da donne, che sono portate a sognare e a fantasticare, che hanno maggior attitudine con cose che non per forza abbiano un aggancio concreto alla realtà. Però la letteratura è una dei pochi campi in cui non c'è possibilità di predeterminare né il successo di un libro né la validità di una trama o di un personaggio...».
Quindi il destino di Sara ancora non si conosce. Non si sa se diventerà una trilogia, o una serie...
«L'editore, Rizzoli, lo vorrebbe. Ma prima cerchiamo di capire cosa dicono i lettori...».
I lettori dicono che il giallo italiano sta benissimo. Anche all'estero. Qui a Lione, al «Quais du polar», l'Italia è il Paese ospite. I nostri giallisti sono tradotti, pubblicati, intervistati, premiati...
«Sì, è vero. La letteratura nera è il genere italiano che sta meglio in assoluto. Perché sa raccontare la strada, cioè la vita. La gente sente il bisogno di capire cosa succede. C'è un delitto? La cronaca ti dice come è avvenuto. La giustizia chi è il colpevole. Ma il perché è successo... beh, quello lo può raccontare solo un bravo narratore».
Cos'ha di diverso il giallo italiano da tutti gli altri?
«Proprio questo. Che è diverso. Nel senso che è diverso da autore a autore, da regione a regione. Se penso al noir scandinavo, ad esempio, mi vengono in mente libri tutti uguali, almeno nell'ambientazione. Se guardo i nostri gialli, vedo una varietà, dalla Roma di De Cataldo alla Calabria di Criaco, che non ha eguali.
E l'aspetto più curioso della faccenda, e che tra noi scrittori non c'è rivalità. Quando siamo in giro per le presentazioni, come qui a Lione, sembriamo una classe di liceo. Non siamo in competizione, semmai complementari».
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