Squalo e tsunami, miscela killer In «Shark» la paura diventa 3D

Son passati quasi quarant'anni dal mitico Lo squalo di Steven Spielberg ma ancora oggi il pescecane dalle paurose mascelle continua a occupare uno dei primi posti nell'hit parade del terrore dell'immaginario collettivo mondiale. Così Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema, ha pensato bene di alleggerire - si fa per dire - il suo cartellone fatto di tragedie, crisi economica, fondamentalismi, e chi più ne ha più ne metta, portando a mezzanotte Shark 3D di Kimble Rendall che Medusa farà uscire nei cinema mercoledì prossimo. Si tratta della prima produzione in tre dimensioni dell'Australia che, in fatto di squali, ha purtroppo una certa macabra consuetudine con sei persone sbranate solo nell'ultimo anno.
Il regista di Shark 3D però fa le cose in grande e all'allarme squali accoppia quello tsunami, lo stesso che si abbatte con una mostruosa onda sulla costa, radendo al suolo la città e inghiottendo tutto, anche il supermercato dove si trovano intrappolati i protagonisti del film. I pochi sopravvissuti riemergono a fatica dalla melma e tentano di mettersi in salvo arrampicandosi sugli scaffali, ma la scena che si presenta davanti ai loro occhi è raccapricciante: l'acqua continua inesorabilmente a salire portando con sé detriti e cadaveri mentre i cavi elettrici penzolano pericolosamente a pochi centimetri dall'acqua. E come se tutto questo non bastasse, i sopravvissuti devono presto fare i conti con un'altra e ancor più terrificante minaccia venuta dall'acqua.
Ma a Shark 3D non interessa tanto lo spessore psicologico dei suoi personaggi, che infatti sono un po' tagliati con l'accetta, quanto la rappresentazione visiva e realistica della paura. Così, tra corpi letteralmente troncati, braccia mozzate, teste galleggianti, la pellicola cerca di ascriversi fedelmente alla tradizione dei b-movie e dei film d'exploitation anni '70 e '80 (soprattutto per la violenza molto meno per il sesso) non senza suscitare qualche volta una liberatoria ilarità.

La stessa che accompagna il regista quando gli si chiede se l'ambientazione nel supermercato possa essere interpretata come una critica nascosta al consumismo: «Ma no, mi serviva un luogo circoscritto per rendere al meglio le atmosfere claustrofobiche del film», risponde Rendall al suo secondo lungometraggio dodici anni dopo Cut - Il tagliagole (tanto per rimanere in tema). Poi, sul confronto con il film capostipite di Spielberg, aggiunge con modestia: «Amo molto Lo squalo. Spielberg per me è un maestro e, come a scuola, è impossibile competere con gli insegnanti».
PArm

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