Cultura e Spettacoli

La storia vera del professore che poteva cambiare la Storia

Bianchi Bandinelli progettò di uccidere il Duce e Hitler. Il (bel) docufilm di Caria racconta perché non ci riuscì

La storia vera del professore che poteva cambiare la Storia

Dal nostro inviato a Venezia

Lezioni di Storia (alternativa) al Lido. Ieri, dopo The Journey di Nick Hamm, rielaborazione - fittizia - del vero viaggio in cui il predicatore protestante Ian Paisley e il repubblicano irlandese Martin McGuinness si giocarono nel 2006 l'ultima chance per cambiare il corso dell'Inghilterra contemporanea, e dopo le diverse versioni confessate nel Paradise di Andrei Konchalovsky su come si è potuti arrivare durante la seconda guerra mondiale all'orrore dell'Olocausto (e se fosse stato possibile evitarlo), ecco il documentario di Enrico Caria che racconta la (vera?) storia de... L'uomo che non cambiò la storia. L'ambiguo fascino dell'ucronia conquista Venezia. What if? Cosa sarebbe successo se...?

Già, cosa sarebbe successo se in una giornata particolare del maggio 1938, data della storica visita di Hitler nell'Italia di Mussolini, qualcuno fosse riuscito a eliminare con una bomba ben piazzata i due dittatori? È, o meglio fu, la «fantasia omicida» di un mite professore universitario, incaricato di fare da Cicerone durante «le memorabili giornate di trionfali accoglienze» del Führer a Roma e a Firenze, il quale si trovò a pochi metri dai due leader senza rimanerne affascinato, e a un soffio dal poter salvare l'umanità dalla tragedia senza essere capace di sfruttarne l'occasione.

L'uomo che non cambiò la storia è un film concepito come un docuthriller che sfrutta l'immenso materiale d'archivio dell'Istituto Luce - alternando cinegiornali a brevi inserti di graphic novel, spezzoni di classici del cinema, disegni e musichette grottesche per ricostruire, tra «doc» e pop, la vicenda straordinaria e tragicomica del più clamoroso attentato mai immaginato nella storia del 900. E l'uomo che non seppe cambiarla per viltà, opportunismo, paura... - è un nome celebre della nostra cultura: Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-75), archeologo e aristocratico, massimo esperto italiano d'arte romana e tra i padri dell'archeologia moderna, fiore all'occhiello del regime fascista, elegante e affascinante, scelto (non si capisce davvero quanto contro la sua volontà) per accompagnare in giro per musei e siti archeologici il Duce e Fürher, in quella primavera del 1938 decisiva per la guerra che da lì a poco sarebbe scoppiata. Giorni cruciali, per se stesso e per il mondo, sui quali Bianchi Bandinelli prese appunti nel suo diario. Ma se il docufilm di Enrico Caria, che a quel diario si ispira, coglie perfettamente il clima di un evento di portata storica (mentre l'America di Time nel 38 nomina Hitler «uomo dell'anno» e la Svezia di Brandt lo candida al Nobel per la Pace), e ha qualità notevoli a livello di racconto cinematografico, ha qualche un limite dal punto di vista storico. Quando cerca di trasformare l'impeccabile studioso in un eroe mancato per un soffio.

Bianchi Bandinelli non fu solo (è noto) un fascista prima tiepido, poi antifascista, poi membro del partito d'Azione (tirato in ballo nell'omicidio di Giovanni Gentile), poi iscritto al Partito comunista e poi tra i massimi intellettuali organici del nostro dopoguerra. Fece (è altrettanto noto) una magnifica carriera sotto il Regime, giurò fedeltà al fascismo come quasi tutti i professori universitari (tranne dodici), tenne fortunate conferenze nella Germania hitleriana, accettò non soltanto - obtorto collo o meno - di fare da Cicerone a Hitler (al quale riconosce una sincera passione per l'arte), ma svolse poi lo stesso ruolo nella visita romana di Hermann Goring.

Il regista Enrico Caria giornalista e sceneggiatore, già Paese sera, Cuore, l'Unità - alla fine ha il merito di raccontarci in modo davvero originale e dettagliato come non andarono le cose in quei giorni fatali. Ma finisce col mettere in scena, in maniera irresistibile, un perfetto (anti)fascista in divisa scalcinata e fez napputo, figlio accondiscendente di quel Ventennio che sarebbe stato comico, se non fosse stato tragico. Di fronte al bivio - compromettere studi, carriera e incolumità personale oppure scattare sull'attenti davanti a un dittatore, seppure mal sopportato - gli italiani hanno quasi sempre scelto la seconda strada. Soprattutto gli intellettuali.

E questa purtroppo è una storia che non cambia mai.

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