Cultura e Spettacoli

Su Netflix debutta "Ratched", una serie di assoluto fascino

L'origin story che ricostruisce l'oscuro passato della crudele infermiera di "Qualcuno volò sul nido del cuculo" è un mix di dramma d'epoca e thriller hitchcockiano che conquista

Su Netflix debutta "Ratched", una serie di assoluto fascino

E' disponibile da oggi, su Netflix, "Ratched", serie tv molto attesa. Si tratta del prequel di quanto narrato nel libro "Qualcuno volò sul nido del cuculo" di Ken Kesey, pubblicato nel 1962 e diventato poi un film con Jack Nicholson vincitore di ben 5 premi Oscar. Non stupisce che a produrla sia Ryan Murphy, già creatore di serie di successo come "Hollywood" e "American Horror Story", perché è proprio a questi due titoli che "Ratched" somiglia a livello estetico: il miscuglio di eleganza affettata e oscurità dalle venature horror, infatti, domina quello che è ad un tempo un melodramma d'epoca e un thriller psicologico.

Il racconto, corale e pieno di femme fatale, intrighi e segreti, è ambientato nel 1947, anno in cui Mildred Ratched (la bravissima Sarah Paulson) raggiunge la clinica psichiatrica di Lucia, nella Contea di Monterey, con l'intenzione di farsi assumere come infermiera. L'istituto è rinomato per le innovative tecniche del Dott. Hannover (Jon Jon Briones) e si trova sotto le luci della ribalta anche a causa dell’arrivo di un paziente come Edmund Tolleson (Finn Wittrock), giovane autore del massacro di quattro sacerdoti.

La protagonista ha una tempra che ricorda quella di Rossella O'Hara. Ora gelida e impassibile, ora dolce e amorevole, non esita a dar fondo al proprio talento manipolatorio per interesse personale. E' una mistificatrice che raggiunge i suoi scopi con determinazione e pazienza e la cui freddezza deriva da traumi passati che scopriremo solo in itinere.

Immersa narrativamente in un gineceo, gareggia con le altre figure femminili in termini di intrigante risolutezza. Impossibile non amare la severa capo-infermiera Bucket (Judy Davis), l'attraente aiuto infermiera Dolly (Alice Englert), la stravagante proprietaria del motel del luogo (Amanda Plummer), l'affabile portavoce del governatore (Cynthia Nixon) e, infine, la ricca ereditiera in cerca di vendetta (una splendida Sharon Stone).

Le interpreti, quasi tutte non più giovanissime, mostrano in quanti modi diversi si possa declinare lo charme, quel sottile accessorio che sembra acquisire sapore con l'età e che può avere bagliori di bizzarria inusitati come emergere dalla più compita delle presenze.

Nel succedersi degli episodi scopriremo nascere amori e complicità tra alcune di queste donne: l'approfondimento psicologico di certe relazioni e le conseguenze sociali delle stesse (all'epoca il lesbismo era considerato malattia psichiatrica), parlano in parte all'oggi.

Tra intrighi e menzogne, verità celate e atti riprovevoli, si fanno largo anche scene crude come lobotomie e omicidi a sangue freddo, piccole derive horror che durano pochi secondi e squarciano l'ipocrisia che alla perfezione estetica della cornice corrisponda quella morale di chi vi si muove.

Non c'è comunque mai giudizio nei confronti di personaggi che mentono persino a sé stessi e che attuano piani deprecabili in nome di uno scopo che considerano giusto. Ognuno è raffigurato nella duplice veste di vittima e carnefice, il che comporta che certi "mostri", soprattutto una volta conosciuto il loro passato, si continuino a ritenere tali ma non a cuor leggero.

Nel finale di stagione vengono seminate le premesse per quella futura, però in maniera forzata. Viene infatti minato, troppo frettolosamente, proprio il legame affettivo di lunga data su cui si fonda la storia fin dall'inizio (sarebbe un peccato rivelare tra chi).

Ciò non toglie che l'attesa, anche se per qualcosa che si annuncia non efficace come questi primi otto episodi, resti.

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