Cultura e Spettacoli

Il sublime Mattatore che "recitò" l'Italia del secondo Novecento

Diede corpo, voce e carattere a un intero Paese. Interpretandone la grandezza e la miseria in una commedia infinita

Il sublime Mattatore che "recitò" l'Italia del secondo Novecento

Raccontare l'Italia con l'ausilio della celluloide? Facile! Lasciandosi aiutare dal potere divisorio (e divino) dell'accetta, basta scegliere due attori. Il primo - Amedeo Nazzari - si carica sulle spalle la prima metà del XX secolo; il secondo - Vittorio Gassman - l'altra metà. Nazzari è stato il divo per eccellenza dello spettacolo negli anni Trenta, quando gli italiani hanno iniziato a frequentare massicciamente la sala cinematografica, lasciandosi trasportare dal fascino irresistibile delle immagini. Il perfetto fidanzato delle italiane. Un cagliaritano di taglia gigante. Possente. Spalle quadrate. Voce profonda. Icona della forza e grandezza italiana propagandata dal fascismo.

Gassman, che domani avrebbe compiuto 100 anni, genovese anche lui di stazza notevole (in gioventù ha praticato la pallacanestro), è il ritratto delle paure e delle speranze del dopoguerra. Le aperture di due film mostrano i differenti profili della medaglia. In Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis è un ladro con impermeabile chiaro (in un giorno di sole pieno) e cappello floscio. Sfugge alla polizia miracolosamente, sfruttando il marasma della stazione ferroviaria, piena zeppa di mondine in procinto di partire per l'annuale lavoro (stagionale e massacrante) nelle risaie. Gassman ha il volto scavato, gli occhi quasi sporgenti, la magrezza figlia della fame e della guerra, le cui ombre ancora aleggiano sulla vita quotidiana degli italiani, e sembrano proprio non volerli abbandonare. Lo stesso Gassman lo ritroviamo qualche anno dopo nell'incipit de Il sorpasso (1962) di Dino Risi. L'Italia ferragostana è andata in vacanza. Roma è deserta. Il protagonista vaga senza meta. Viene accolto in casa da un giovane studente universitario (Jean-Louis Trintignant), rimasto in solitudine per studiare. Va in bagno, per lavarsi le mani sporche di grasso. Si toglie la maglietta. Resta a torso nudo, mostrando come quel corpo asciutto di pochi anni prima abbia preso consistenza. Il benessere lo ha irrobustito. Il boom economico gli ha dato il peso giusto. Le paure sono di colpo svanite. Le speranze galoppano, sfrecciano veloci sulle quattro ruote dell'auto sportiva guidata irresponsabilmente. L'Italia corre veloce. Sta divorando tutto.

E Gassman di questa Italia spumeggiante, aggressiva, arrogante e cinica, che non vuole mai dormire, mai rallentare, ma fermarsi, diventa il Mattatore. Gassman spopola e domina sullo schermo (prima grande e poi piccolo), in radio, sui palcoscenici teatrali, nei rotocalchi a larghissima diffusione, nei salotti, nelle occasioni mondane. La presenza di Gassman è straripante. Dove arriva attira su di sé l'attenzione. È un magnete potentissimo. Un Supereroe in bianco e nero capace di reggere una conversazione letteraria con Elsa Morante; giocare un incontro di tennis con Ugo Tognazzi in attesa della mitica pastasciutta; andare in scena con Luchino Visconti in teatro per un testo di Jean Cocteau; divertirsi a fare il seduttore con le sbigottite signore di un mercato romano; rilasciare un'intervista seriosa in smoking alla Mostra di Venezia.

Gassman può fare e sa fare tutto. Recitare, parlare, condurre, intrattenere, scrivere. Ammaliare e stupire. Mentire e dire la verità. Divertire e far piangere. Interpretare l'esistenza senza macchia e senza paura e l'esatto contrario. È credibile nei panni del principe e dello straccione, del padre di famiglia e dello scapestrato, del ricco e del povero. Volete un cieco capace di vedere sin dentro le anime? Gassman in Profumo di donna (1974) di Risi. Dalla sua prima apparizione cinematografica nel 1945 all'ultima nel 1999, il Mattatore è la figura di riferimento dell'Italia del secondo Novecento. Nella grandezza come nella miseria. Forse è arrivato il momento di dirlo: ma la vera autobiografia dell'italiano non è quella di Alberto Sordi, è quella di Vittorio Gassman. Senza mancare di rispetto all'Albertone nazionale, in Gassman, oltre al divertimento tipico della commedia, è ben visibile l'autorevolezza della tragicità. Sordi è soprattutto il principe della risata. In C'eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola - commedia sociale perfetta - Sordi avrebbe potuto sostituire egregiamente Nino Manfredi, non Gassman. I panni dello spiantato diventato ricco, indossati con sobrietà e serietà da Gassman, in Sordi sarebbero stati flosci, troppo larghi e troppo lunghi. Non parliamo della divisa militare tirata a pennello per il Gassman de Il deserto dei Tartari (1976) di Valerio Zurlini. E del professore comunista (con amante clandestina) de La terrazza (1980) e del patriarca di La famiglia (1987, entrambi di Scola).

Altri avrebbero potuto sostituire Gassman? Se c'è un elemento da sottolineare non sono certo le capacità drammatiche di Gassman, ma il fatto che i grandi autori italiani non gli abbiano mai offerto una vera occasione per scatenare il suo talento. Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e Luchino Visconti non sono mai ricorsi a lui. Brancaleone era davvero troppo per figurare nelle loro opere. È questa probabilmente l'unica nota stonata di una grande carriera. E il Mattatore certo non ne ha la minima responsabilità. Neppure il genio visionario di Bernardo Bertolucci ha trovato il coraggio di affidarsi a Gassman. Non trovò spazio per un semplice cammeo nel suo monumentale Novecento (1976). Avrebbe stonato? Ne dubitiamo. Eppure, Bertolucci scelse Tognazzi come protagonista di La tragedia di un uomo ridicolo (1981). La presenza di Gassman avrebbe ulteriormente arricchito quel bel film, purtroppo caduto nel dimenticatoio. Tognazzi era, per tutt'altre ragioni, grande quanto Gassman. Uno completava l'altro. Insieme racchiudevano l'intera gamma, fisica ed espressiva, della recitazione. Valida per favorire il buonumore come per richiamare la pesantezza della tragedia.

La storia del cinema italiano, come tutte le altre storie, prima o poi andrà riscritta con occhi nuovi. Con sguardi meno legati alle qualità dei registi e delle idee espresse. La cinematografia nel XX secolo è stata marcata fortemente dall'icona. Meno dalla parola, dal paesaggio, dal suono, dal pensiero. Il volto, la corporeità, la fisicità. Detto in altri termini, le opere - quelle destinate a diventare canone - si reggono, nell'essenza, sull'attore. Marcello Mastroianni nella fontana di Trevi. C'è poco da aggiungere. Nell'infinita carrellata per immagini del Mattatore la commedia è dominante. Dato significativo, poiché la commedia - dai «telefoni bianchi» degli anni Trenta al «cinepanettone» di fine secolo - è stata l'elemento di unificazione nazionale. Linguistica, antropologica, comportamentale, sessuale, consumistica, di tendenza, persino vettore dell'irriverenza. E la commedia, in largo e in lungo, in alto e in basso, nel bello e nel brutto, per mezzo secolo si è pietrificata in un monumento dalle molteplici sfaccettature: il Mattatore.

L'opera e la figura di Vittorio Gassman, per concludere, sono già fissate nel tempo e proiettate nel futuro. L'autobiografia del Mattatore pubblicata nel 1981 si intitolava Un grande avvenire dietro le spalle. Una percezione della propria grandezza il suo autore certo l'aveva. Pur se ne ignorava le autentiche dimensioni.

Noi lo sappiamo: è immensa.

Commenti