A volte anche i numeri commuovono. Soprattutto se sono così importanti. E vedere che ben 7 milioni di italiani (speriamo anche molti maschi, nonostante la Champions) martedì sera abbiano seguito le vicende di Lila e Lenù ti fa tornare un po' di speranza per questo nostro Paese. Perché, la serie tratta dal best-seller dell'Amica geniale di Elena Ferrante non solo è un prodotto più che riuscito dal punto di vista televisivo, ma soprattutto è importante per le idee che trasmette, innanzitutto alle giovani generazioni. Il riscatto sociale, l'indipendenza e l'emancipazione femminile (ma anche quella maschile) ottenuta grazie all'istruzione, allo studio, alla forza di volontà. Nascere in uno dei quartieri più poveri e degradati di Napoli e riuscire ad andarsene (restandoci fisicamente nel caso di Lila) crescendo senza venire contaminati dalle radici malate della piccola società malavitosa. La forza dell'amicizia (e insieme della rivalità) tra due bambine, poi donne, che le aiuta ad attraversare le tempeste della vita. Insomma, tutto quello che c'è di importante nei romanzi di Elena Ferrante, non viene tradito da questa fiction. E, i suoi messaggi (chiunque lei sia) che purtroppo non sono per nulla scontati nella nostra società, attraverso l'operazione Rai-HBO-Wilside-Fandango-Timvsion sono arrivati per la precisione a 7.092.000 italiani, con uno share del 29,3 per cento. Significa uno spettatore su tre che l'altra sera stava davanti alla tv, facendo balzare il titolo a programma più visto della stagione autunnale. In più un successo social: 12.000 i tweet in rete. Perciò si facciano tutte le analisi sulla sceneggiatura, si dica pure che pareva troppo cinematografica (lenta e piena di lunghi primi piani), claustrofobica (girata tutta in un cortile), a tratti fuori luogo (per esempio la citazione di Roma Città aperta con l'inseguimento della moglie alla camionetta dei carabinieri che porta via il marito), dai colori troppo sbiaditi, sta di fatto che il suo successo è straordinario anche perché è diversa dalle fiction cui è abituato lo spettatore del primo canale.
Dunque ha ragione Eleonora Andreatta, responsabile di Rai Fiction (e unica dirigente insieme a Stefano Coletta di Raitre a non essere stata falcidiata dai nuovi vertici Rai giallo-verdi) a esultare: «È la conferma di un obiettivo che Rai Fiction si è data nella coerenza con la missione di servizio pubblico: una grande storia popolare a un livello eccellente di qualità, capace di toccare i sentimenti e i valori di tutti. Una bella dimostrazione di come la creatività e la cultura italiana possano tenere insieme al più alto livello la letteratura e la televisione. Una serie partita dall'Italia che porta le nostre eccellenze nel mondo». Molto importante il concetto sulla produzione internazionale e l'«esportabilità» della serie. E pazienza se per il settimanale New Yorker la serie sarebbe «uno spot di Prada sul malessere della classe operaia», forse il critico ha qualche pregiudizio sul nostro Paese. Il New York Times la definisce, al contrario, un «intimo poema epico» e paragona l'adattamento dal libro allo schermo allo sforzo fatto dalla HBO per il Trono di Spade.
In ogni caso, un altro successo, ultimo di una lunga serie, di quella Raiuno che è appena (l'altro ieri) stata smantellata dai nuovi vertici Rai pentastellati.
E speriamo che, nella furia dei cambiamenti, non venga defenestrata anche la titolare della fiction, la Andreatta, che in questi anni ha trasformato il suo settore da produzione provinciale a linguaggio moderno. Altrimenti ci ritroveremo, tra qualche mese, a vedere serie dedicate ad Alberto da Giussano, alle famiglie Mulino Bianco o ai poliziotti senza macchia e senza paura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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