di Giovanni Gavazzeni
Il nostro più augusto senato lirico, il Teatro alla Scala, nel corso degli ultimi due lustri, ha perduto la sua storica funzione di alto rappresentante del melodramma italiano. Le opere di Rossini, Donizetti e Bellini, di Verdi e Puccini, colonne in tutto il mondo del repertorio, sono state, negli ultimi tempi, trattate con la mano sinistra, se non proprio trascurate, e quando non lo sono state, sono arrivate a noi attraverso elementi spesso inadeguati. E non stiamo a elencare malinconiche cancellazioni, defezioni e soppressioni. Non si discute il diritto sacrosanto di sperimentare e cercare il «nuovo», ma alla Scala bisogna cogliere successi soprattutto a partire dalle opere del melodramma italiano. Certo, è difficile, ma la Scala è questa. Abbiamo apprezzato le incursioni stimolanti nel repertorio slavo e anglosassone. Ma non sono bastate le realizzazioni di idee festivaliere. Il benvenuto che Milano dà ad Alexander Pereira è dovuto al fatto che il futuro Sovrintendente della Scala queste cose le sa e non ha certo bisogno di alcuno stimolo. L'augurio è che egli si insedi al più presto con benefici di carattere economico e organizzativo per la nostra maggiore istituzione di teatro musicale. Il lavoro che lo attende è immane, su più fronti.
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