Carlos Santana è musica anche quando parla. Ora se ne sta a Las Vegas, bello rilassato perché per un mese terrà concerti alla House of Blues di Mandalay Bay. Niente spostamenti. Niente check-in all'aeroporto o tempi morti: per lui, 66 anni, è una passeggiata. «In quasi mezzo secolo ho suonato ovunque, pure dove non c'era neanche corrente elettrica: ora merito un po' di tranquillità» dice con voce quasi flautata. Ottanta milioni di dischi venduti, laurea da chitarrista epocale, per di più sopravvissuto a un'epoca di perdizioni viziose.
Sul palco usa pochi effetti, pochi «pedali», e la sua chitarra Prs Santana «entra» in un amplificatore Mesa/Boogie che si è inventato da solo. Risultato: suono unico. Però se non avesse imbroccato l'album Supernatural del 1999 (oltre 21 milioni di copie vendute), sarebbe finito nel cimitero degli elefanti e ora venderebbe soltanto greatest hits per far quadrare il bilancio. Sembrava in via di estinzione, insomma. Invece l'anno scorso ha pubblicato un disco quasi interamente strumentale (Shape shifter) e trascorrerà metà del 2013 in tour passando pure in Italia (il 5 luglio a Piazzola sul Brenta vicino Padova, il 26 al City Sound Festival di Milano e il 27 al Foro Italico di Roma). E in fondo se lo merita: a Woodstock arrivò da esordiente allo sbaraglio. Oggi anche in un supermercato, appena si ascolta la sua chitarra, tutti la riconoscono: è Santana, bellezza.
Però Santana qualcosa la terrà con i piedi per terra.
«Per anni quando tornavo a casa dopo tournèe mondiali, pieno di gloria e autostima, posavo gli strumenti all'ingresso e mia moglie mi diceva subito: c'è da buttare la spazzatura».
Niente male.
«Perciò ti vien voglia di ripartire subito in tour» (ride sonoramente, ndr).
A proposito, come sarà il suo concerto?
«Pieno di energia e bellezza».
Un po' banale.
«Ehi, io suono la chitarra. E la suono con una energia che mi ha dato Dio. Se suono ancora è perché ho una passione che non mi lascia mai».
La spieghi.
«Come se fosse il ruggito di duecento leoni. I leoni ruggiscono quando vogliono fare l'amore. Io sul palco ruggisco ancora».
Santana, siamo nel 2013, gli anni Settanta sono finiti.
«E io ascolto ancora Bob Marley e tutto ciò che chiamo afrobeat. E persino i Doors, che poi sono la miscela di John Lee Hooker e John Coltrane, autentiche leggende».
Ray Manzarek dei Doors è morto da poco.
«Musicisti così non si trovano quasi più: l'ho incrociato tante volte, era un maestro perché aveva imparato a suonare vivendo senza barriere».
Qualcuno è rimasto imprigionato nei propri limiti.
«La chitarra è proprio il grimaldello che ti aiuta a romperli. Ho avuto momenti difficili, vendite scarse, platee invisibili: ma se sai suonare, allora sarà la musica a portarti oltre. Sempre».
Eric Clapton ha detto che i Led Zeppelin lo annoiano. In Italia un attore e regista appassionato di musica si è pure arrabbiato (Verdone).
«Conosco due Clapton. Il primo con i Cream, grandissimo. Poi c'è quello venuto dopo, quello che ha sempre cercato un brano giusto per diventare sempre più famoso».
Ma i Led Zeppelin?
«Enormi».
E Clapton?
«Ha suonato brani di chiunque per riuscire a realizzare il suo scopo: da Cocaine di JJ Cale fino I shot the sheriff di Bob Marley. Per carità niente di male: lui è come se fosse mio fratello. Ma l'ispirazione è un'altra cosa».
Il più ispirato di tutti?
«Miles Davis senza dubbio. Riesce a portarti in cielo senza farti staccare i piedi da terra».
Tutti eroi del passato.
«Sono nato nel 1947 e questa è la mia musica. Ma oggi ci sono comunque grandi chitarristi che mi esalta ascoltare. Come Ben Harper. O Derek Trucks».
A proposito, Zucchero ha detto che ormai il brano italiano Volare porta nel mondo un'idea troppo stereotipata dell'Italia.
(inizia a cantare Volare in perfetto accento italiano - ndr).
Ci sarà, caro Santana?
«Se ci sarà ancora gente che suona per amore della musica guardando il cielo, credo proprio di sì».
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