Talentuosa e indomabile: Betty, la Madonna nera che travolse Miles Davis

Nel '68 sposò il grande jazzista, che la lasciò per paura che diventasse più famosa di lui

Talentuosa e indomabile: Betty, la Madonna nera che travolse Miles Davis

La storia d'arte, amore e matrimonio (fallito) che legò Miles Davis a Betty Mabry, tra il 1968 e il 1969, può essere capita rileggendo l'autobiografia del trombettista (edita in Italia da minimumfax). Miles, parte prima, il signore magnanimo: «Betty influenzò molto la mia vita personale, così come quella musicale. Mi fece conoscere la musica di Jimi Hendrix - nonché Jimi in persona - e un sacco di altri musicisti rock neri. Conosceva Sly Stone e tutta quella gente lì, e anche lei era molto brava. Se Betty cantasse oggi, sarebbe qualcosa tipo Madonna; qualcosa tipo Prince, solo, donna. Fu lei a dare il via a questo stile ai tempi in cui cantava col nome di Betty Davis». Miles, parte seconda, il farabutto infuriato: «Be', troia, io voglio il divorzio. Ho già pronte tutte le carte e così sarà meglio che le firmi in fretta». Betty firmò in fretta, mantenne il cognome del marito e la cosa finì lì. Quando si erano conosciuti, poco prima di sposarsi, Betty era una modella di 22 anni, splendida ed esuberante. Miles aveva passato i quaranta e forse temeva di perdere l'appuntamento con la modernità. A quei tempi ascoltava il funk di James Brown, «quel gran chitarrista di Jimi Hendrix» e Sly & the Family Stone. Musica anche da ballare, in linea con le richieste del pubblico giovane.

Cosa c'era di sbagliato in Betty? Lo spiega proprio Miles: «Betty era troppo giovane e selvaggia rispetto a quello che mi aspettavo da una donna». Il genio del jazz, che certo non era un agnellino, si trovava spiazzato da questo «spirito libero, con molto talento». Betty, scrive, «era una donna di strada, una del rock ... lasciva, arrapante e così via, tutto sesso». Insomma, era «troppo» per lui. Betty frequentava in particolare Hendrix, forse c'era qualcosa tra loro, anche se l'amicizia tra Miles e Jimi proseguirà intatta fino alla morte del secondo. Miles era comunque convinto che Betty sarebbe diventata più famosa di lui e lo avrebbe lasciato per questo. Un'umiliazione che non avrebbe potuto sopportare. Così fu lui a chiedere la separazione, nei modi eleganti (ehm) che abbiamo visto.

Betty era una donna dal carattere indomabile. Negli anni Settanta sfornerà due album di scarso successo (Betty Davis, 1973 e They Say I'm Different, 1974), ma sufficienti per farla entrare nelle grazie di tutti gli appassionati. Rock, soul, funk si fondono in canzoni aggressive e sensuali. È roba da manuale della musica nera ma troppo ruvida per una generazione che iniziava ad amare il velluto della disco. Ora però alla sua carriera si aggiunge un nuovo tassello, per molti versi sconcertante, testimoniato dal disco The Columbia Years. Nel 1968-1969 Betty entra in studio per alcune sedute di incisione sotto la guida di Miles Davis, Teo Macero e Hugh Masekela. I pezzi sono accreditati a Betty Davis ma lei stessa racconta che c'è un coautore d'eccezione: Miles stesso. Impressionante la lista dei musicisti coinvolti: Harvey Brooks, John McLaughlin, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Mitch Mitchell, Bill Cox e molti altri. Gli ultimi due sono tra i principali collaboratori di Jimi Hendrix. I primi tre, assieme al produttore Teo Macero, sono l'ossatura della band che Miles Davis metterà insieme per il suo capolavoro jazz-rock, Bitches Brew (1970). A proposito, il titolo di questo storico disco è farina del sacco di Betty, che appare anche in copertina come già accaduto in Filles de Kilimanjaro.

Bitches Brew fu una svolta clamorosa. I musicisti che ne furono artefici si incontrarono tutti assieme per la prima volta proprio in occasione del disco di Betty. A questo punto, il musicologo deve retrodatare gli esperimenti di Miles Davis con il rock. In quegli anni, Miles era alla ricerca di qualcosa di nuovo, per sé e per gli ascoltatori. Temeva di essere superato, voleva continuare a dettare legge e ottenere un successo di massa paragonabile a quello delle rockstar bianche. Ci riuscì proprio con Bitches Brew che vendette mezzo milione di copie nonostante il disgusto dei jazzofili più tradizionali.

Il disco di Betty fu consegnato all'oblio e vede la luce solo oggi. Davvero strano. Gli esperti congetturano. Quelli maliziosi dicono che Miles non si diede da fare per sostenere il lavoro della moglie. Quelli fiduciosi ribattono che furono i discografici ad affondare il progetto dopo un ascolto frettoloso. Una tesi non esclude l'altra.

Può darsi che le incisioni di Betty del 1968-1969 siano un po' acerbe rispetto alle successive degli anni Settanta. È vero che gli album «ufficiali» suonano ancora meno scolastici.

Ma è insolito che esca con quasi mezzo secolo di ritardo un documento importante per capire l'evoluzione di un personaggio centrale come Miles Davis. Betty nell'intervista contenuta in Columbia Years non mostra dispiacere per l'occasione persa e neppure astio verso il geniale ex marito. Non è più giovane ma è ancora indomita.

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