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Terremoti, sgabelli, manette così Ai Weiwei libera tutti

La Firenze dei ribelli Dante, Savonarola e Galilei ospita il discusso artista cinese. Fra commozione, selfie e video

Terremoti, sgabelli, manette così Ai Weiwei libera tutti

Camicia bianca, aria sorniona e stropicciata, Ai Weiwei si presenta a Palazzo Strozzi fedele all'immagine che il mondo ha di lui: un animale da palcoscenico. «Comunicatore attivo», si definisce quando gli chiediamo dell'incessante attività sui social network (difficile lasci a digiuno i suoi 336mila follower su Twitter).

Siamo a Firenze, nel quattrocentesco palazzo che ospita la sua prima grande retrospettiva italiana: la mostra «Ai Weiwei. Libero» (da domani al 22 gennaio, catalogo Giunti) inaugura dopo giorni di polemiche. Niente di strano. Da un decennio il sessantenne artista cinese è al centro delle cronache: figlio di un poeta poco amato da Mao, vive da bambino l'esilio nel deserto del Gobi, passa gli anni '80 in America, torna in patria e fa carriera (firma lo stadio nazionale di Pechino). La sua attività on line infastidisce però il governo: il suo blog (17 milioni di visite) viene oscurato, nel 2011 è in arresto per 81 giorni e, una volta libero, è senza passaporto per anni. Lo ha riavuto nel 2015: da allora viaggia (pied-à-terre europeo a Berlino) e questa a Firenze è la prima mostra italiana che presenta di persona. È diversa dalle tante esibizioni a lui dedicate negli ultimi anni: curata da Arturo Galansino, neodirettore di Palazzo Strozzi, libera Ai Weiwei dalle etichette (dissidente, politicamente impegnato, controverso: il ritornello attorno al suo nome è quello) grazie a una rigorosa retrospettiva storica. Nei saloni di Palazzo Strozzi, liberato anche lui da allestimenti posticci (finalmente vediamo finestre originali, arredi, camini) si documenta il percorso creativo dell'artista. «Mi sono commosso. Non mi aspettavo tutta questa attenzione», ha detto. Difficile credergli.

Mentre i fiorentini sono sconcertati dall'installazione Reframe con ventidue gommoni arancioni a decoro delle bifore della facciata di Palazzo Strozzi («Nessun rischio per l'edificio», ha precisato la sovrintendente Cristina Acidini) i turisti fotografano e le foto viaggiano sui social. Ai Weiwei risponde che i gommoni «sono un segno di rispetto per chiunque cerchi la libertà» e ricorda gli atti ribelli di altri fiorentini del passato: Dante, Savonarola, Galilei e quel Filippo Strozzi che fece costruire il palazzo dopo un lungo esilio a causa dei Medici. I loro ritratti pop, fatti con mattoncini di Lego, sono tra le opere appositamente create per la mostra.

Suddivisa in una ventina di sezioni tra piano nobile e Strozzina, dove si concentra parte della sterminata documentazione fotografica dell'artista, l'esposizione è punteggiata di opere «alla Ai Weiwei»: le manette di giada, le grucce in cristallo che fanno il verso a quelle che aveva in prigione, il Souvenir from Shangai che documenta la distruzione del suo atelier a opera del governo con un video concesso dal governo (tipico cortocircuito cinese). È poi drammatica la stanza con i lavori dedicati al terremoto in Sichuan nel 2008: alle pareti un serpente fatto di zainetti degli studenti morti e sul pavimento piccole bare di legno dove giacciono i resti delle lamiere contorte.

Questa estetica del dolore non è - per fortuna - il tratto saliente della mostra: il genius loci ha fatto il suo lavoro, regalandoci un Ai Weiwei capace di guizzi alla maniera dei rinascimentali. Prendiamo l'ingresso al piano nobile, ad esempio, dove Forever, cattedrale di biciclette assemblate ad hoc (l'odore di gomma stordisce) strizza l'occhio ai ready-made di Duchamp. «Essere qui è un po' come tornare bambino, quando ammiravo sui libri di mio padre le figure del Botticelli. Oggi sono stato all'Opificio delle Pietre Dure: come non ammirare l'opera degli antichi maestri?», racconta. La mostra va letta nel serrato confronto fra arte di oggi e arte di ieri: ci sono i vasi antichi riverniciati, gli studi prospettici (il punto di fuga lo indica in modo dissacrante il dito medio), la suggestiva sala con le figure della mitologia cinese, l'amore per l'antiquariato (Grapes compone 34 sgabelli di legno, simbolo di una Cina che non c'è piu).

A Palazzo Strozzi si celebra la libertà di Ai Weiwei di esprimersi, di vagare con uno stuolo di assistenti sulle rotte dei migranti rivendicando che l'arte è azione (politica) e che se oggi Shakespeare fosse vivo scriverebbe su Twitter, di dirsi scomodo oggi, quando è corteggiato ovunque.

Si celebra in fondo la libertà dell'arte contemporanea di occupare nuovi (anzi antichi) spazi, di passare dal rovinoso ricordo di un terremoto alla giocosa possibilità di un selfie con l'artistar. Liberi tutti.

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