Suo padre e suo fratello erano morti soldati nella Seconda guerra mondiale. Così, rimasta sola al mondo, a 14 anni Togawa Masako dovette lasciare gli studi e guadagnarsi da vivere lavorando come dattilografa. Era una ragazza carina, intraprendente e con una bella voce. Perché non sfruttarle, quelle doti? Lo fece e negli anni Cinquanta, nella Tokyo occupata dagli Alleati, divenne fra le principali attrazioni del «Gin Pari», vale a dire «la Parigi di Ginza», un locale tra il café chantant e il night club. Comunque, a quei tempi di yen nelle sue tasche ne giravano pochi, e abitava in «una residenza per sole donne, un vecchio edificio di cinque piani in mattoni». Ma negli anni Sessanta e Settanta il suo successo e la sua fama in tutto il Giappone divennero clamorosi. Viso da geisha spesso incorniciato dall'acconciatura afro, musicista, femminista, attrice, animatrice culturale, icona ante litteram della comunità LGBTQQIAAP... Fra il '69 e il '74 fu anche autrice, nonché protagonista, della serie televisiva Playgirl, incentrata su una scrittrice di romanzi gialli e sulla sua agenzia di detective composta da donne che indagano sui crimini dei colletti bianchi.
La scrittrice era proprio lei, di nome, di fatto e in carne e ossa. Perché nel '61 aveva scritto Oinaru gen'ei, un esordio con il botto che l'anno successivo le valse il Premio Edogawa Ranpo, il maggior riconoscimento giapponese per la letteratura gialla. Ora quel noir claustrofobico che si svolge quasi interamente proprio in «una residenza per sole donne, un vecchio edificio di cinque piani in mattoni» come quello ben noto all'autrice, esce in italiano, in una nuova traduzione dopo quella di Lidia Zazo Conetti per Corbaccio del 1994, con il titolo Residenza per signore sole (Marsilio, pagg. 175, euro 17, traduzione di Antonietta Pastore).
Sul finire della storia, tesa come una corda di shamisen, cupa come i racconti di Akutagawa, meccanicamente perfetta come un origami, una delle protagoniste afferma: «mi sentivo come un regista teatrale che fa incontrare i personaggi servendosi di un palcoscenico rotante». La possiamo prendere come una confessione della scrittrice morta nel 2016, la quale fa esattamente questo: ruota su un palcoscenico, mettendole sotto il proprio microscopio psicologico, le varie inquiline di quella comunità chiusa e conflittuale. La vecchia residenza da cinque piani e centocinquanta appartamenti, sempre buia, silenziosa e opprimente, ci appare come un mostro che ha inghiottito i destini di undici donne e in cui mettono piede fugacemente, come ospiti peraltro non graditi, soltanto tre uomini... Un mostro in cui l'1 aprile del '51 si è consumato e occultato un orrendo delitto e che ora, sette anni dopo, per esigenze urbanistiche (e qui spunta la velata denuncia dell'arroganza degli occupanti vincitori e dei loro complici) deve essere... spostato di qualche metro, rivelando il misfatto.
Le due custodi, due ex professoresse, una vecchia indigente, una violinista, una ex maestra elementare, la seguace di una setta spiritistica, la medium cooptata nella stessa setta, un'anziana pazza e la madre di un bambino rapito custodiscono tutte gelosamente la loro verità, o quella che credono essere la verità. I lavori edili che a breve scoperchieranno la prova dell'orrendo delitto sono come un sasso che sta per essere gettato in uno stagno, le cui acque sono già percorse dai brividi di correnti sotterranee.
Un amore nato morto, un furto, un libro misterioso, un incendio... Oltre le soglie dei vari appartamenti le «signore sole» si macerano nel rimpianto e nella colpa. Ma una chiave universale darà a qualcuno il potere di violare le proprietà private dei sentimenti.
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