Cultura e Spettacoli

Torna il lato nero del vecchio West. E cavalca in "Compton Cowboys"

A Los Angeles alcuni afroamericani fanno rivivere un lato oscurato dell'epopea

Torna il lato nero del vecchio West. E cavalca in "Compton Cowboys"

La «cancel culture» non è nata negli ultimi mesi con un revisionismo spesso folle, come il dibattito sul bacio estorto dal Principe Azzurro a Cenerentola o l'obbligo di eliminare dal romanzo e dal film Via col vento la parola «nigger». Sembra che in nome di questa novità censoria, nata e sviluppatasi soprattutto negli Stati Uniti in nome di un'eguaglianza che diventa spesso isteria, molti abbiano dimenticato che proprio la cultura americana ha nascosto, dietro il velo della democrazia, tantissime storie nere.

Tra queste, la storia del vecchio West: a causa dei film con John Wayne esportati in tutto il mondo, nessuno ha mai detto, lontano dagli Usa, che un cowboy su quattro era di colore. Adesso arriva finalmente in Italia il romanzo Compton Cowboys di Walter Thompson- Hernández (HarperCollins Italia, pagg. 298, euro 22,50, traduzione di Annalisa Di Liddo) che racconta come ancora oggi esistano comunità di uomini neri che vivono in ranch a Compton, Los Angeles. Per molti, Compton è soltanto la patria della musica rap, la periferia estrema della metropoli dove imperversano violentissime gang che creano disordini e malessere sociale. Tra le pagine di questo libro, il giornalista Walter Thompson-Hernández racconta come nel 1988 Mayisha Akbar fondò la «Compton Humior Posse» per offrire ai giovani un'alternativa alla strada e far loro conoscere la storia centenaria dei cowboy di colore. Da questa iniziativa sono nati anche moderni cowboy metropolitani: spesso uomini riscattati da una giovinezza costellata di errori come Anthony, un ex spacciatore e detenuto che è diventato un pilastro della comunità, o come Keiara, una madre rimasta single che sogna di vincere il campionato nazionale di rodeo.

Storie di strada che qui assumono la dimensione della redenzione, dell'interventismo sociale e anche politico, la rivendicazione della storia dei propri avi che hanno combattuto a cavallo nelle sterminate praterie del West senza che quasi nessuno ne raccontasse la storia. Come ha scritto Junot Díaz, Premio Pulitzer per la narrativa, «Thompson-Hernàndez ha scritto un libro memorabile: un resoconto profondo e commovente di cosa significa essere neri oggi in America, impressionante per la verità che racconta. Un libro epico che parla di sopravvivenza e creatività». Ed è appunto la dimensione epica a renderlo narrativamente interessante. Se l'autore si fosse limitato a un saggio non avrebbe ottenuto lo stesso effetto. Perché una Los Angeles raccontata così non l'abbiamo mai letta: una Los Angeles attraversata da cowboy che rivendicano il loro essere di colore (purtroppo c'è ancora bisogno di rivendicarlo), e la propria storia taciuta dal potere di Hollywood che ha sempre celebrato i «cavalieri pallidi».

Lo scrittore ci racconta non i luoghi oscuri di una Los Angeles troppe volte letta (da John Fante a Charles Bukowski, da James Ellroy a Ryan Gattis), ma la speranza di un nuovo presente che scenda da cavallo e ottenga la rivincita della Storia.

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