Tornano Malraux e Camus gemelli opposti di Francia

Bompiani rilancia i due titani della letteratura francese del '900. Ma il maestro supera l'allievo...

Tornano Malraux e Camus gemelli opposti di Francia

Uno, ambiguamente bello, come Humphrey Bogart in Casablanca, era un tombeur, l'altro, piuttosto, era un magnetico tombarolo. Addobbato come Corto Maltese, nei primi anni Venti, mentre Albert Camus fa gné gné alle scuole elementari, André Malraux, spavaldo ventenne, s'aggira in Indocina insieme alla moglie, Clara Goldschmidt - di cui ha dilapidato la fortuna - sperando di far soldi trafugando statue, monili e bassorilievi dai templi cambogiani. Come sempre, la realtà irrompe disorientando le fantasie: Malraux, coraggioso quanto ingenuo, viene arrestato, un mucchio di scrittori francesi - tra cui André Breton, Gide, Mauriac, Louis Aragon - si mobilita per lui, che rientra in Francia, nel 1924, nobilitato dalla fama di avventuriero.

Nasce lì, nella selva asiatica, dove l'oscurità spiritata esalta il morbo occidentale, virus di morte e resurrezione, il Malraux scrittore, quello de Le vie dei Re, I conquistatori, La condizione umana, con cui, nel 1933, ottiene il Goncourt. Soprattutto, nasce allora, frutto di un fraintendimento maliziosamente annaffiato, la storia di Malraux come Byron cinese, che «ha diretto una spedizione archeologica in Cambogia, ha avuto rapporti con Chang Kai-shek e con Mao Tse-tung», come dichiarava, nel 1962, John Kennedy, dopo aver invitato alla Casa Bianca l'illustre francese. In realtà, tutte balle, «le date parlano chiaro: prima del 15 luglio 1965, data del suo viaggio ufficiale in Cina durante il quale incontrò Mao, Chou En-lai e il maresciallo Chen Yi, Malraux aveva messo piede sul suolo cinese soltanto due volte: una prima volta nell'agosto del 1925 a Hong Kong per circa una settimana: una seconda e ultima volta nel 1931... in veste di frettoloso turista» (Renata Pisu). Le maschere di Malraux, però, l'aviatore che comanda una squadriglia repubblicana in Spagna idolatrando D'Annunzio, il partigiano riluttante durante la Seconda guerra, l'aedo di De Gaulle e il mecenate della cultura francese degli anni Sessanta, il fondatore del Museo Immaginario, amico di Picasso, Chagall, Braque, omaggiato da Lev Trockij (giudicava i suoi romanzi «un atto di accusa folgorante contro la politica dell'Internazionale comunista in Cina»), l'«agente stalinista» (ancora Trockij) e «l'unico autentico fascista francese» (Albert Béguin), sono troppo belle - l'artista è ciò che scrive di essere, mica ciò che è davvero - per essere discusse.

La coincidenza ammette il complotto critico. Bompiani pubblica una nuova traduzione de La condizione umana (firma Stefania Ricciardi, pagg. 352, euro 15) insieme all'edizione rinnovata di alcuni libri di Albert Camus: Caligola (nuova traduzione di Camilla Diez, pagg. 160, euro 10), Il diritto e il rovescio (nuova traduzione di Yasmina Melaouah, pagg. 80, euro 9), Tutto il teatro (pagg. 512, euro 16), i Taccuini (pagg. 576, euro 16). Camus e Malraux sono, indubbiamente, i titani della letteratura francese del Novecento. Per lo più, paiono gemelli opposti: se Camus - procedo per sciupate etichette - è un esistenzialista, Malraux è un nichilista cronico; se Camus ha cercato la verità (sillabario dell'impossibile), Malraux ha dato credito alla menzogna ben articolata; Camus è un uomo della contemplazione, Malraux dell'azione; Camus ha ottenuto il Nobel per la letteratura, Malraux, sotto De Gaulle, è stato plenipotenziario della cultura di Francia; Camus ha scritto dell'Algeria dando voce alla vita, Malraux ha esplorato l'Oriente sfidando la morte.

Camus, ozioso seduttore - l'anno scorso Gallimard ha pubblicato le lettere infuocate tra Albert e Maria Casarès, divina figlia dell'ultimo Presidente del Consiglio spagnolo prima di Franco, in esilio a Parigi, attrice, a cui lo scrittore confessa, trafitto, «nel sangue scorre una impazienza che mi fa male, una voglia di bruciare tutto, di divorare tutto, ed è questo il mio amore per te» - è sempre piaciuto a tutti. Però, col senno di oggi, Lo straniero non è più grande del remoto capolavoro di Flaiano, Tempo di uccidere, e La peste, che ha in dote una franca semplicità - un valore per il mercato ma non per l'eterno - non regge di fronte ai torbidi interrogativi de La condizione umana, il romanzo in cui Malraux ha conciliato la gnosi di Joseph Conrad agli abissi di Pascal. Camus riesce efficace nella misura saggistica - Il mito di Sisifo e L'uomo in rivolta andrebbero letti ferocemente al liceo; per poi passare oltre - ma soprattutto negli schizzi e negli aforismi dei Taccuini, sempre ad alto grado di intensità («Trovare il modo d'andar fuori misura nella misura»; «Il valore del viaggio è nella paura»; «Un'ora tenebra e disperata. Niente da abbracciare. Nulla davanti a cui gettarsi in ginocchio ebbri di riconoscenza»).

Se Camus sprofonda nel gorgo labirintico dell'Io, Malraux indaga le zanne della Storia, ne aggioga il muso di sirena e di Minotauro. In effetti, l'opera miliare di Malraux, vorticosa autobiografia - piena di lecite bugie - sono le Antimemorie, dove lo scrittore è nello stesso tempo T.E. Lawrence - senza segreti è la sua ammirazione per l'autore dei Sette pilastri della saggezza - e il Conte di Montecristo - incipit: «Sono evaso, nel 1940, con il futuro cappellano del Vercors» - dove l'impareggiabile voracità narrativa accumula, nello spazio di una pagina, Paul Valéry e Jawaharlal Nehru, la Venere di Milo e «Kyoto irriconoscibile», Dostoevskij e Sant'Agostino e l'antico Egitto e «le città tedesche coperte di bandiere bianche... o rase al suolo dai bombardamenti». D'altronde, se pretendessimo più Malraux in libreria rispetto alle polpette di Camus il primo a esserne felice sarebbe quest'ultimo, basta leggere la Correspondance tra i due edita da Gallimard nel 2016. Malraux è «il maestro della giovinezza» di Camus: il bell'Albert invia a lui il manoscritto de Lo straniero. Malraux lo legge, fa qualche osservazione, poi lo caldeggia a Gaston Gallimard - «stai attento, questo diventerà uno scrittore importante» - che pubblica il romanzo nel 1942. «Sono stato aiutato dalla fortuna e dagli amici: Pascal Pia e André Malraux hanno fatto tutto», riconosce, poco dopo, Camus, scrivendo a Jean Grenier. Quando è in lizza per il Nobel, pubblicamente, «dovrebbe andare a Malraux», dirà Camus, ma sappiamo che la contraddizione e la furia non premiano mai. «L'uomo non arriva al fondo dell'uomo...

l'uomo che troverete qui è quello che coincide con le domande poste dalla morte al significato del mondo»: così Malraux, anticipatore, antipatico, antitutto giustifica le sue Antimemorie, un libro tanto importante che vi tocca ordinarlo in biblioteca, i nostri editori non lo pubblicano più.

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