Cultura e Spettacoli

«Il traditore» Buscetta davanti allo specchio La mafia non perdona

Il film di Bellocchio, unico italiano in gara, scava nella psiche del pentito Don Masino

Maurizio Acerbi

Il cinema di Marco Bellocchio è sempre stato un incrocio tra la dimensione privata, intima, dei suoi protagonisti e quella politica, pubblica. A volte, preferendo la prima, al punto da prescindere, senza mai stravolgerla, dalla fedeltà storica, come gli rimproverò Francesco Rosi in occasione di Buongiorno, notte, il film sul sequestro Moro. Il suo è sempre stato un lavoro di introspezione, di comprensione, di avvicinamento del soggetto al centro della scena. Che è, evidentemente, alla base anche de Il traditore, unico titolo italiano in gara a Cannes (è stato presentato ieri, in concorso), già disponibile, per chi volesse vederlo, nelle nostre sale. La pellicola ha come protagonista Tommaso Buscetta, ribattezzato Il boss dei due mondi o anche Don Masino, membro di Cosa Nostra, uno dei primi grandi collaboratori di giustizia, divenuto famoso, grazie alle sue rivelazioni a Falcone, per aver svelato molti segreti dell'organizzazione mafiosa e i nomi e crimini dei suoi appartenenti; che portarono al Maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra, con ben 475 imputati. «Dottor Falcone, noi dobbiamo decidere solo una cosa. Chi deve morire prima: lei o io?» dice Favino/Buscetta a Falcone che gli chiede di fare i nomi. Una frase che fa gelare le vene al pensiero di quello che accadde il 23 maggio del 1992, a Capaci. Esatto, 23 maggio, ovvero il giorno nel quale il film è arrivato nei cinema italiani, non senza polemiche. Su Instagram, Giovanni Montinaro, figlio di Antonio, caposcorta di Falcone, anche lui morto nella strage di Capaci, aveva scritto a Favino: «Sinceramente, l'uscita nelle sale, il 23 maggio, è solo marketing. Da orfano di quella strage mi permetto di scrivere che è decisamente offensivo. Nulla di personale; da ignorante in materia, la considero un attore fenomenale. Saluti Giovanni Montinaro». Al quale, Favino aveva risposto: «Caro Giovanni, credo di poterla rassicurare circa il desiderio, nella scelta della data, di omaggiare e ricordare quel giorno senza retorica e senza il desiderio di approfittare di un evento così tragico. Le assicuro anche che nel film non troverà niente che potrà farglielo pensare».

In effetti, è così. Il momento dell'attentato è certamente uno dei più forti del film, con l'orrore che deflagra la quotidianità di uno scambio di battute tra il giudice e la moglie, Francesca Morvillo. Dagli inizi degli anni 80, in Sicilia, fino al 2000, a Miami, dove Buscetta, malato, morì, temendo fino all'ultimo la vendetta della Mafia che, si sa, non dimentica mai; la pellicola ripercorre, con il conteggio delle vittime che, sullo schermo, si aggiorna progressivamente, la guerra di Riina e i Corleonesi contro le vecchie famiglie. Buscetta, per sfuggire alla condanna a morte certa, va in Brasile, a Rio, dove viene arrestato e estradato in Italia. Nel frattempo, la Mafia gli ha ucciso i suoi affetti più cari, a partire dai due figli, e lui, per vendetta, inizia a parlare con Falcone. L'arresto di Riina, il processo ad Andreotti con il passo falso della lussuosa crociera nel Mediterraneo che gli viene rinfacciata dall'avvocato difensore del politico, l'addio definitivo all'Italia. Bellocchio non fa di Buscetta un eroe. A lui interessa entrare nella sua testa, capire, prima di tutto, come si potesse porre davanti al tema del tradimento: verso i suoi figli (li ha condannati a morte con la sua fuga), verso l'affiliazione mafiosa («Io sono stato e resto un uomo d'onore. Sono loro che hanno tradito gli ideali di Cosa Nostra. Per questo io non mi considero un pentito»), verso le donne della sua vita. Lo ha fatto per non tradire se stesso, ci sembra dire Bellocchio, un conflitto senza soluzione (uno prevarica inevitabilmente l'altro), sul quale si poggia e va guardato l'intero film.

Favino, come sempre, dimostra di essere il più talentuoso dei nostri attori. Il Buscetta «segreto» che ci restituisce, dilaniato, ad esempio, dall'impotenza verso i figli che considera perduti e che ha abbandonato, dimostra quanto bravo sia. Un film che rischiava di diventare molto televisivo (le scene del processo sono bellissime), essendo immagini entrate, a vario titolo, nelle case degli italiani.

Marco Bellocchio ha saputo scavare, con tatto, dietro quelle immagini, ricostruendo, con emozione, un pezzo importante, che lo si voglia o no, della nostra recente storia.

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