Cultura e Spettacoli

Trevisan e Melville, due oustsider in lotta contro la mediocrità del mondo

L'italiano ha riletto "Billy Budd", storia di mare sulla scia di "Moby Dick"

Trevisan e Melville, due oustsider in lotta contro la mediocrità del mondo

Melville e Trevisan, due storie impossibili da affiancare eppure ascrivibili per varie ragioni al mondo delle vite parallele. Di affinità, così come di diversità, ce ne sono tante. Herman Melville (1819-1891) è universalmente considerato uno dei più grandi scrittori statunitensi della storia. Vitaliano Trevisan (1960-2022) è ritenuto una delle penne italiane misconosciute di maggior valore di quest'ultimo ventennio. Entrambi hanno condotto un'esistenza tutto sommato solitaria, irrequieta, tormentata. Cosa ancor più rilevante, sia Melville sia Trevisan hanno cordialmente manifestato profondo fastidio nei confronti dell'ipocrisia imperante nel mondo letterario, allora come oggi, e della povertà intellettuale di quell'ambiente spesso indebitamente ostile che si sono trovati costretti a frequentare, pur restandone ai margini. Può essere questa la principale chiave di lettura del breve saggio Billy Budd, Billy Budd an inside reading (Oligo, pagg. 43, euro 12) attraverso cui Trevisan rende omaggio alla prosa del maestro americano e alla grandezza di un suo romanzo spesso dimenticato come Billy Budd.

Scritto circa trent'anni dopo Moby Dick, tra il 1889 e il 1891, anno della morte di Melville, e rimaneggiato pesantemente più volte, Billy Budd in realtà completa idealmente quanto scritto nel grande capolavoro dell'autore, con un'altra storia di mare, ancora una volta improntata alla piccolezza dell'uomo di fronte alla natura e alla portata epica di valori come coraggio, onestà e onore nella lotta contro grettezza, egocentrismo e invidia.

Billy Budd è un giovane e ingenuo marinaio che, suo malgrado, si lascia irretire in un progetto di ammutinamento ordito dal suo maestro d'armi, Claggart, per farlo cadere in rovina. Budd colpisce Claggart, uccidendolo per errore. Nonostante il capitano Verre lo abbia in simpatia e capisca la sua sostanziale innocenza, non può che decretarne la condanna per impiccagione, onde evitare un pericoloso precedente in un anno prodigo di moti insurrezionali come il 1797.

Trevisan in questo suo saggio del 2004 rimasto fino a oggi inedito racconta la forza di personaggi senza tempo e la valenza universale del romanzo di Melville, ma, soprattutto, si immedesima nei suoi travagli interiori di autore incompreso, come talvolta accade ai grandi. Da scrittore di pregio qual è, Trevisan è intrigato dall'inguaribile insoddisfazione del maestro americano che, a più riprese, rimette mano alla stesura del suo romanzo, apportandovi correzioni che quasi ne stravolgono il senso, senza riuscire del tutto ad approdare a una versione definitiva. È la morte, infatti, a impedirglielo e il romanzo vede la luce solo nel 1924, in forma non del tutto completa.

La citazione che Trevisan fa delle parole di Nathaniel Hawthorne, contemporaneo di Melville «Egli sembra essersi votato all'annientamento» suona come un fosco presagio, alla luce della fine prematura dello scrittore veneto.

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