La Società del Quartetto di Milano apre la stagione oggi con un dono del cielo. Con Daniil Trifonov, la punta del pianismo d'ultima generazione. A lui - russo, 26 anni, agenda eroicamente fitta ma con poca Italia - il compito di aprire un cartellone particolarmente generoso quanto a presenze di prestigio. Si va da Murray Perahia a Radu Lupu, András Schiff, Leif Ove Andsnes, il violinista Joshua Bell, i quartetti Belcea, Artemis, Jerusalem, quindi Jordi Savall, The King's Singers, Europa Galante.
Trifonov ha creato per Milano (replica a Torino domani) un impaginato che rispecchia l'ultima uscita per Deutsche Grammophon, Chopin Evocations: una collana di pagine di Chopin e autori che si sono ispirati al poeta della tastiera per eccellenza. La casa discografica s'è l'è stretto subito, nel 2013. Nel frattempo, di cd in cd, abbiamo visto il prode Trifonov soggetto al restyling dell'immagine, a favore di un aspetto più patinato. Del resto, vi ricordate Anne-Sophie Mutter prima e dopo il contratto con l'etichetta gialla? La ragazzotta della Foresta Nera si trasformava in un'avvenente sirena. A proposito, il settimo cd, in novembre, unisce Trifonov & Mutter nel nome di Schubert. Due nomi che per DG sono galline dalle uova d'oro. Trifonov ricorda di aver suonato per la prima volta Chopin sotto i dieci anni, all'epoca degli studi alla Gnessin, l'istituto musicale più esclusivo di Russia: tale poiché esclude il 99,9% dei candidati. E lui, di Ninij Novgorod, partì per la capitale al seguito dei genitori che mollarono tutto. Con 112 concerti l'anno è il pianista più richiesto. Sempre in tour. Un tour de force? «Pochi concerti, troppi concerti... Mah. È tutto relativo. Più concerti in luoghi ravvicinati non sono stancanti. Mentre pochi concerti ma con viaggi transoceanici sfiniscono, queste trasferte azzerano le energie. Quest'estate, però, ho fatto le vacanze». Adora comporre: «Sto per finire due lavori. Dovrebbero essere pronti per la primavera». È un interprete che colpisce per la sua unicità, maturità espressiva e interpretativa, per quell'istinto pianistico che ricorda Martha Argerich e pochi altri. È introverso e schivo, pare il Maurizio Pollini di gioventù. Trifonov è nato pianista. «Ho sempre studiato tanto. A un certo punto l'applicazione diventa una questione di abitudine, quindi di necessità. Mente e fisico si abituano», taglia corto. «Il pianoforte è la mia vita. Mi sta offrendo molte opportunità e esperienze». Sul palcoscenico pesa di più la sofferenza o la gioia? «Ogni concerto è diverso. Contrassegnato da varianti, l'acustica, il pianoforte, il mio stato fisico e psichico. Prepari un lavoro per offrirlo al pubblico, ma poi può accadere di tutto. Il lato estemporaneo è prevalente, quindi bisogna essere abili nel prendere decisioni al volo e al momento giusto.
Questo rende la musica dal vivo un qualcosa di speciale, un continuum di sfide. È una grande gioia ma anche fonte di tensioni. Per un artista non è facile, ecco...».Approda nell'Italia patria dell'opera. Le sue preferenze? «Peter Grimes di Britten, Wozzeck di Berg e Prokofiev».
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