Cultura e Spettacoli

Il trionfo della musica: esperanto per una buona causa

Cesare G. Romana

È così che la storia e la cronaca del rock, i divi del momento e gli astri di sempre s’allacciano in un solo viluppo di civiltà e di magia. De Gregori non canta Guccini, come aveva previsto, ed è un peccato: sarebbe stato come ascoltare due poeti in uno. Ma riesce comunque a stregarci. E da Hyde Park gli U2 e Paul McCartney evocano, insieme, i Beatles, ne esce un Sgt Pepper scabro e tirato ed è emozione quasi insostenibile.
Mica finisce qui: tornano in pista, rigorosi e fervidi, gli Who, Roger Waters si riunisce ai «suoi» Pink Floyd, restituisce loro la smarrita grandezza e anni di diatribe svaniscono d’un soffio: vince la solidarietà, in questo Live 8, e non ha torto il telecronista che da Londra si chiede se «potranno i potenti del mondo ignorare l’appello di oltre mille artisti, e di tre, quattro miliardi di persone». Perché ha ragione De Gregori quando canta che «la storia siamo noi, questo rumore che rompe il silenzio», dopo averci raccontato in due brani-capolavoro, L’agnello di Dio e La donna cannone, il peso della marginalità e il dramma della diversità.
Quanti e quali i momenti clou di quest’evento epocale? Tanti quante sono le virtù comunicative della musica, questo esperanto assoluto che ieri ha fatto sentire a tutto il mondo, al disfattismo di qualche opinionista, alla sordità dei potenti, al cuore spalancato dei popoli e allo scetticismo dei disillusi quanto grande sia il suo vigore persuasivo e quanto possente la sua capacità d’aggregare gli animi. Ecco un Bono lirico e commosso, tribunizio e appassionato. Ecco la splendida voce di Venditti e l’assorta interiorità della Mannoia, la passione civile dei R.E.M., grandissimi, eppoi Sting, Madonna in inedita versione gospel e hip hop, Zero con Baglioni, osannatissimi, i Duran Duran e i Coldplay con i loro limiti concettuali e la loro accattivante finezza. E ancora, esaltante, il soul febbrile di Zucchero, anche lui al meglio nel rammentarci che «c’è bisogno d’amore/ per tutto quanto il mondo/ un’overdose d’amore»: e può essere lo slogan di quest’evento, unico nella storia del rock.
Pochi nomi, ma bastano a dirci che gran festa della musica sia stato questo Live 8, e come la musica sia riuscita a glorificare se stessa pure al di là dei nobilissimi moventi dell’iniziativa. Anche se ci è stata spesso occultata, nella «diretta» di Raitre, dall’invadente loquacità del conduttore, Giovanni Floris, e dei suoi ospiti: peccato. Ma intanto Ms Dynamite ha potuto proporci un’intensa Redemption song, di Bob Marley, trionfa Antonacci con un brano contro la guerra, Elisa, struggente ed elegiaca, ci ha mostrato cosa può fare quando canta, vivaddio, in italiano. E poi suona magico, con Ron, quel dialogo tra violino e pianoforte, e straordinaria è la prova pianistica di Elton John, una grandinata di note armoniosa e mozzafiato.
Ma lo stupore non finisce qui. C’è la portentosa vocalità di Yossou N’Dour, a correggere duettando il garbo asettico di Dido, e che bravi i Negramaro e Laura Pausini. A compensarci del bizzarro forfeit di Pino Daniele (per protesta contro lo strapotere inglese, «spiegano» le agenzie), e di qualche momento «minore», Nek, Pezzali, Britti, le Vibrazioni, Bon Jovi, i Travis. Ma vabbè, soccorre la nobiltà degli intenti, e l’intreccio planetario dei linguaggi: lo sperimentalismo nordico di Bjork, da Tokyo, e dagli Usa la «nigrizia» raffinata di Stevie Wonder, poi la voce di Andrea Bocelli, avvolgente velluto, a compensare la pochezza canora di Geldof, bell’arrangiamento però.
D’altronde che splendida voce ha Ligabue, quando canta «acustico», che magnifici cantanti sarebbero Irene Grandi e Piero Pelù, se cambiassero repertorio, e com’è trascinante, solare, empatico Jovanotti: da fare invidia a Will Smith, trionfante oltre Atlantico col suo rap. Spettacolari e ispirati, da Berlino, appaiono i Green Day, sterminato è l’elenco e lo spazio è avaro, per permettere di riferire su tutti. Ma su tutti sarà difficile dimenticare un’Annie Lennox che sfiora, per introspezione, accoratezza e duttilità, l’incredibile.

Un’esibizione che è una lezione di stile e un momento di storia, varrebbe da sola tutto il Live 8 e, in qualche modo, lo riassume.

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