Tute, trolley e vestagliette: che sciatteria

di Vittorio Sgarbi

Applaudono ignari, forse perplessi. Non vogliono forse dirsi ciò che pensano. Sono nel palco reale e hanno davanti agli occhi il racconto di Don Giovanni mortificato da una regia che lo restringe in una visione miserabile. Scenografia e costumi rivelano una confusione senza precedenti: un’orgia di tute da operai, cravatte, trolley, e l’insulso obiettivo di attualizzare ciò che non lo chiede e non lo vuole. Perché Don Giovanni deve vestire un principe di Galles e Leporello una tuta da operaio? Perché Donna Anna una vestaglietta di nylon e Don Ottavio uno smoking per una prima in una città di provincia? Donna Elvira appare in un abito anni ’30 con un ridicolo cappellino. L’accompagna un’inutile cameriera che trascina valigie e il bagaglio a mano su un volo di linea. Donna Anna è invece uscita dalla parrucchiera con la permanente e lo smalto sulle unghie. Le scene mostrano il retro di pannelli sui quali Leporello ha fatto le aste per numerare il catalogo delle donne di Don Giovanni. Tutto miserabile, modesto. Elvira come già Donna Anna, compare nel secondo atto in camicia da notte. Ha anche i guanti di camoscio. Lo scenografo, per sforzarsi poco, quando non mostra i pannelli di retro riproduce il telone del sipario su cui apre porte e finestre che introducono al «casinetto» di Don Giovanni o agli appartamenti di Donna Elvira. Nella scena del travestimento di Don Giovanni da Leporello e viceversa c’è spazio per tutto: smoking, magliette di lana, vestaglie, costumi d’epoca e in rosso Scala. Perché da un certo momento Don Giovanni, abbandonati gli abiti moderni, riappare in costume in una confusa sovrapposizione di epoche e in una sciatteria senza precedenti. Nell’aria «Metà di voi qua vadano» appare in frac davanti a un drappello di servi armati di fucili in maniche di camicia o in giacchette disegnate da stilisti improbabili. Un Don Giovanni a misura di cameriera, dove l’unico personaggio nella parte è Zerlina, mentre gli altri sono goffi e improbabili. Il regista Robert Carsen, per essere originale, non si è risparmiato l’esibizione di appendiabiti e di sedie trovate all’oratorio parrocchiale. Non gliene riesce una: quando Lorenzo da Ponte introduce le «vezzose mascherette» entrano tre personaggi paludati in modo ridicolo. Ma il suo capolavoro è il sestetto con Masetto e Zerlina in bianco, Elvira e Leporello (mascherato da Don Giovanni) in costume, Ottavio e Donna Anna in nero, particolarmente ridicoli lei in tubino, lui in giacchetta e cravatta con nodo scappino. Tutto è talmente assurdo che i cantanti potrebbero cantare qualunque cosa. Per non farli sfigurare, anche l’orchestra ha rinunciato allo smoking per gli abiti da pomeriggio, e il direttore s’è fatto cucire un’incredibile giacchetta che porta con la camicia aperta senza farfalla. Non manca l’inutile apparizione in platea di una ragazza nuda, di pessimo gusto. Neanche Pier’Alli era stato capace di tanto, mentre vent’anni fa Strehler e Frigerio, pur intendendo punire l’immorale Don Giovanni, avevano preservato un’atmosfera di tragica solennità. Qui prevale il ridicolo: su uno sfondo di quinte moltiplicate, Ottavio appare vestito come Claudio Villa con uno spadino in mano, mentre Elvira urla in vestaglia come Milva. Potrebbe andar bene anche per Sanremo anni ’60. Eppure Carsen è consapevole, lo ha dichiarato, della dimensione di Don Giovanni, della sua energia vitale, del suo piacere per la sfida. Buone intenzioni, pessimo risultato. I più eleganti sono Monti e Napolitano che spalancano gli occhi increduli e non vogliono ammettere di essere presi in giro o, peggio, di essere, per simulazione, visti come il Commendatore che balugina dal palco reale. Davanti a questa messa in scena avranno pensato quanto sarà costata pur con i mezzi di fortuna e di recupero con cui è stata realizzata. Ridotti a due paggetti del Commendatore, avranno avuto la tentazione di tornare bambini e di dire che hanno visto l’imperatore nudo (o in maglietta e canottiera) come è. Ma non lo possono dire.

Sono costretti ad applaudire facendo buon viso a cattivo gioco e fingendo di non vedere come si buttano i soldi degli italiani chiamati a tanti sacrifici. Il loro, oggi, è essere qui. (Imperdonabile è il duetto di Ottavio e Donna Anna che appare in scena con il libretto appena stampato e riceve un anello di fidanzamento in abito da sera e orecchini di plastica!).

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