Tutti vogliono riscrivere la saga di Shakespeare

Nell'anniversario della morte del padre della letteratura inglese, grandi scrittori di oggi rielaborano le sue opere più famose

Stefania VitulliÈ tempo di riscrivere Shakespeare. Forse perché quest'anno ci attendono le celebrazioni per i 400 anni dalla sua morte. E a celebrare le cose così come sono, senza metterci un po' del nostro per assorbirne la gloria, non siamo capaci. O forse semplicemente perché, come dice Edward Bond, il più grande drammaturgo britannico vivente: «Se vuoi conoscere le risposte a qualsiasi domanda devi rivolgerti a Shakespeare. Vuoi sapere cosa sia l'amore, leggi Romeo e Giulietta. Vuoi sapere cosa sia il razzismo, leggi Il mercante di Venezia. E questo perché Shakespeare era un uomo del tardo Rinascimento. Il senso del mondo era profondamente cambiato». E siccome di risposte abbiamo tanto bisogno e di profondi cambiamenti siamo ormai completamente impregnati, forse questo è il tempo del ritorno di uno Shakespeare cambiato. Partiamo da una riscrittura illustre, proprio quella del drammaturgo Edward Bond: tra gli sceneggiatori di Blow-Up di Antonioni, è ritornato in auge da noi grazie alla messa in scena che Ronconi fece cinque anni fa del suo La compagnia degli uomini. Di Bond, Minimum Fax ha deciso, a quasi cinquant'anni dalla prima messa in scena e in occasione della prima nazionale al Teatro di Roma, di pubblicare Lear (trad. di Tommaso Spinelli, pagg. 194, euro 15), completo della prefazione originale dell'autore e di una lunga intervista con Lisa Ferlazzo Natoli. «Scrivo di violenza con la stessa naturalezza con cui Jane Austen scriveva di buone maniere». Così Bond iniziava la sua prefazione a questo Lear, nel 1971. Dieci personaggi principali e settanta ruoli: una macchina teatrale che più volte è stata definita «il dramma più violento mai messo in scena» e che fa da commento al Re Lear di Shakespeare come la contemplazione dei morti, dei feriti e della distruzione fa da commento all'esplosione di una granata. Nel Lear di Bond il re è un autocrate per niente illuminato, che sta facendo costruire un muro per tenere lontani tutti i nemici, specialmente quelli immaginari. La paranoia lo accompagnerà in carcere, dove finisce per mano delle figlie Bodice e Fontanelle, e poi lo abbandonerà per fare spazio a un viaggio di rivelazione, sempre conseguenza di brutalità inaudite. Verrà accecato, perseguitato da un fantasma, infine ucciso. Violenza e leadership, violenza e morale sociale, violenza e necessità di giustizia. Siamo animali dal destino incerto con una necessità biologica di equità. Ma a dircelo e basta restiamo sordi, anzi ciechi, come animali e per scatenare la nostra risposta da umani l'ideale è sempre stato la catarsi data dalla messa in scena della tragedia. Se la cecità è una condizione interiore provocata dal violento sguardo da bestia, cavarci gli occhi porterà all'illuminazione (vedi Edipo o Tiresia). In poche parole, la brutta fine della storia di Lear come la volle Shakespeare: al cuore la violenza, sullo sfondo la società, alla fine, un metodo per andare avanti da uomini.Riscrivere aiuta la nemesi, dunque, persino se l'originale pare imperfettibile. In questo pare aver creduto la casa editrice più grande del mondo, Penguin Random House, che per celebrare degnamente Shakespeare si è avventurata in un'impresa di riscrittura che ha coinvolto alcuni tra i più letterari tra i narratori contemporanei. Jeanette Winterson, Anne Tyler, Howard Jacobson, Margaret Atwood, Tracy Chevalier, Jo Nesbø, Gillian Flynn ed Edward St. Aubyn sono stati reclutati per creare una delle più illustri raccolte di cover mai tentate prima: otto opere di Shakespeare da reinventare secondo lo stile e l'anima di ciascuno di loro che costituiranno alla fine la Hogart Shakespeare Series, ovvero il tributo dei nostri tempi al Bardo immortale. Le pubblicazioni, che si concluderanno tra quest'anno e il prossimo, hanno coinvolto oltre venti Paesi, Russia e Cina comprese, e usciranno in contemporanea, in carta stampata, digitale e audiolibro.Da noi se ne occupa il marchio Rizzoli e la prima uscita, arrivata anche in Italia in novembre, è stata quella di Lo spazio del tempo (trad. di Chiara Spallino Rocca, pagg. 316, euro 19,50), di Jeanette Winterson. Si tratta di una riscrittura di Racconto d'inverno. Là, dalla Sicilia alla Boemia, si svolge il dramma di re Leonte ingiustamente geloso di re Polissene: accusa la moglie Ermione di infedeltà, la toglie la neonata Perdita che considera bastarda, contro ogni oracolo la fa mettere in prigione e infine la guarda morire di crepacuore. Ma alla fine Perdita verrà ritrovata, Ermione tornerà alla vita e Polissene e Leonte si riconcilieranno. Ne Lo spazio del tempo siamo nella Nuova Boemia, sud degli Stati Uniti: un pianista nero di nome Shep si appropria di una neonata abbandonata nella ruota, la «Culla per la Vita» di un ospedale, insieme ad una misteriosa ventiquattrore. Decide di tenerla con sé. Mentre dall'altra parte del mondo, a Londra, l'affarista senza scrupoli Leo Kaiser crede che la moglie lo tradisca con il suo migliore amico. É questo il motivo per cui ha deciso di abbandonare la bimba che la donna ha appena dato alla luce.Una rielaborazione totale, che diventa un vero romanzo, in cui, a parte nomi ed eventi isolati, potremmo riconoscere tutto o non riconoscere nulla, se non fossimo avvezzi all'originale. Ci sono la gelosia, la redenzione, la natura compassionevole e liberatoria del tempo e soprattutto c'è Perdita, la bimba abbandonata da cui tutto parte e a cui tutto ritorna, cambiato: «Ho riscritto questo dramma di Shakespeare perché da più di trent'anni lo sento intimamente mio» dice la Winterson in un commento finale al romanzo. «Questo è un dramma su una trovatella. E io sono una trovatella. È una rivisitazione dell'Otello, un uomo che preferisce annientare il mondo piuttosto che cambiare se stesso. Ma questa volta l'eroina non deve morire sull'altare dei deliri dell'eroe. Il racconto d'inverno è andato in scena per la prima volta nel 1611. Ci sono voluti altri trecento anni prima che la nascente scienza della psicoanalisi comprendesse che il passato ipoteca il futuro e che può essere redento».Vista l'ottima riuscita del precedente, inutile dire che la curiosità di scoprire, in questo 2016, come Margaret Atwood abbia trasformato La tempesta ed Anne Tyler La bisbetica domata (il titolo della cover sarà Vinegar Girl) o che cosa siano diventati Otello nelle mani di Tracy Chevalier, Macbeth in quelle di Jo Nesbø e il Re Lear nella mente di Edward St. Aubyn è potente. In un troppo breve video di quattro minuti creato da Random House come trailer dell'operazione e che si trova facilmente su youtube - occasione rara per vedere i narratori in magica sequenza alcuni dei riscrittori spiegano il loro rapporto con l'opera scelta e perché abbiano accettato un compito alla fine così arduo.

Molti tra loro si consacrano cerimoniosi alla grande occasione, ma un disegno di Margaret Atwood rimette a posto le cose: «Sono un cuore tenero. L'editore piangeva. E in ogni caso chi potrebbe resistere alle sue maniche a sbuffo?». Una risposta che Shakespeare, chiunque sia stato, avrebbe approvato.

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