VASCO STORY

Da stasera in Ogni volta su Sky Arte racconta le canzoni e le paure. Tra ricordi e aneddoti curiosi, è il suo primo autoritratto televisivo

VASCO STORY

Ma chissà perché prima mai. Vasco in tv. Vasco a lungo in tv. Diceva che davanti alle telecamere non si sentiva a proprio agio. Che non sapeva spiegarsi. Che non aveva i tempi televisivi. E invece no. Stasera dalle 21.10 su Sky Arte HD (canali 120 e 400, l'abbiamo visto in anteprima), Vasco inizia il lungo racconto della propria vita, delle canzoni famose e di quelle un po' meno, delle dannate nuvole o dei maledetti temporali della propria carriera o, meglio, delle paure diventate scintilla di creatività. Mezz'ora come fosse sul lettino di un analista. Con i classici del repertorio e le immagini dei suoi concerti che separano le confessioni o le accompagnano a seconda del montaggio. Cinque puntate, una al mese, la prima stasera: Ogni volta Vasco. Roberto Pisoni di Sky Arte Hd lo descrive come «una sorta di romanzo visivo in più capitoli» ed è un romanzo che, come sempre nel caso di Vasco Rossi, non segue un copione preciso, tutt'altro. Zigzaga. Si arresta e indugia. Poi dilaga magari all'improvviso. E le sue parole sono al centro, non la musica. Le sue parole che spiegano la sua musica, a partire dall'ultimo singolo Dannate nuvole composto di notte come al solito, quando arriva il momento nel quale il tempo non esiste e «lì allora inizio a suonare la chitarra, deliro e mi diverto a delirare e poi il giorno dopo mi sento molto stanco e stupido».
Vasco parla fluido, il volto rilassato, talvolta divertito, talvolta piegato in quei sorrisi che non sai che cosa vogliano dire. «Non mi posso lamentare perché, se mi potessi lamentare, mi lamenterei», spiega ammettendo, sotto sotto, che l'eterna insoddisfazione è il corrimano del suo rock. Dopotutto, «il rock non è mai quella via di mezzo». I discorsi di Vasco sono tessere di un puzzle che arrivano a caso ma poi, pian piano, lucidamente si compongono. Talvolta quasi come manifesti esistenziali: «In Vivere o niente canto “guardami, io sono qui, e te lo voglio urlare, io sto male”. Dire sempre “io sto bene” è un modo di non comunicare».
Lui comunica. Soprattutto le paure.
E in questa prima puntata, nella quale parla soprattutto del suo modo di scrivere canzoni (le altre sono sul rapporto con i fan, sui tour, sulla preparazione dei concerti e infine su tutti i personaggi che si raccolgono in Vasco), le paure, quelle vere, quelle artistiche, ricamano quasi ogni battuta. «Con Vita spericolata ho pensato di aver scritto la canzone della mia vita. Dopo non riuscivo neanche a partire con un verso nuovo. Sono stato quasi quattro anni senza scrivere neanche una canzone, ero disperato». 1983. Vasco al massimo di tutto, anche degli eccessi. Vasco che, dopo Modugno e i cantautori, era diventato il terzo cardine della nostra canzone d'autore e l'ennesimo parafulmine dei benpensanti («un bell'ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe»: l'articolo di Nantas Salvaggio è del 1980). Un rocker divisivo si direbbe orrendamente oggi (e lo vedremo anche in Unici su Raidue l'8 maggio). «Vengo dall'epoca dei cantautori ma mi sono accorgo che il pubblico non aveva più tanto tempo per ascoltare, così ho iniziato a scrivere per slogan: Vado al massimo ripetuto tre volte, per esempio». Dopotutto, «a me non me ne frega nulla della sintassi: sono un espressionista». Un puntinista: usa immagini minute per descrivere il tutto. E, mentre una tv bianca imprigiona spezzoni dei suoi concerti, Vasco torna indietro a quand'era bambino e la mamma («che cantava sempre») gli chiedeva di recitare una poesia davanti a tutti («Io sono un bel bambino con gli occhi azzurri color del mare»), oppure di cantare una canzone, naturalmente di Sanremo anni Cinquanta. Poi racconta con il candore di un ragazzino l'incontro con la prima chitarra nella soffitta di un amico: «Avrò avuto dieci o undici anni, dovunque la toccassi faceva un suono diverso, ero folgorato». D'altronde Vasco è così, furore di passioni. «Albachiara l'avrò composta in venti minuti alla sera prima di uscire con gli amici». «Quando ho scritto “la vita è un brivido che vola via/ è tutto un equilibrio sopra la follia” (da Sally - ndr) pensavo che l'avrei capito solo io e invece...». E sorride con quel sorriso che sa solo lui.

Poi parla, divaga, fa il punto della situazione, «La mia parola adesso è decostruzione», et voilà tutte le tessere buttate a caso diventano il ritratto di un uomo complicato, chiuso e solitario cui la musica riesce ancora a pettinare i nodi dell'animo, dopotutto.

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