Un piccolo borgo isolato tra le acque di una laguna che però si trova al centro di una fitta rete di commerci, due imperi che si confrontano a distanza, un misterioso sarcofago che viene ritrovato durante una tempesta, il culto delle reliquie che si trasforma in uno strumento di potere. Sono questi gli elementi fondamentali del nuovo romanzo dell'ex archeologo, e ora scrittore di successo, Marcello Simoni. La dama delle lagune (La nave di Teseo, pagg. 472, euro 20) porta il lettore nella Comacchio, anzi Comaclum, dell'anno Domini 807 e lo fa assistere ad un misterioso ritrovamento e all'inizio di una guerra navale tra due imperi, quella che nei libri di storia è ricordata come l'«Invasione franca delle Venezie». Abbiamo parlato con l'autore, ormai un bestsellerista affermato del romanzo storico, per farci raccontare come è nata questa narrazione che è un piccolo e cesellato mosaico della vita nell'alto medioevo.
Perché ha ambientato La dama delle lagune proprio a Comacchio?
«Essenzialmente ci sono due motivi. Il primo è che sono nato e cresciuto a Comacchio e quindi conoscevo bene il contesto archeologico di questo territorio originato da un braccio ora scomparso del Po, il Padus Vetus. Le tracce archeologiche antiche del territorio sono labili ma esistono e proprio per questo mi intrigava utilizzarle per una narrazione. Poi ho sempre amato le narrazioni sulla Dama del Lago del ciclo bretone, danno conto dell'esoterismo proprio dell'uomo medievale. Mi piaceva l'idea di una storia che ne traesse ispirazione e desse conto del complesso rapporto dell'uomo medievale con il meraviglioso e così è nato il romanzo, che doveva chiamarsi La signora delle lagune, poi è stata Elisabetta Sgarbi a proporre La dama e in effetti mi è piaciuto subito come titolo».
Lei racconta le vicende di un insediamento insulare che grazie alle sue saline finisce per essere coinvolto in una vicenda politica molto più grande. Ricostruisce la vita di tutti i giorni degli abitanti, dei milites... Uno sforzo narrativo notevole.
«È stata una sfida. Comaclum è citato dalle fonti storiche, si parla dei suoi milites, dei suoi monasteri, però sono fonti succinte. Ho ricostruito gli organi di governo partendo dal dato storico e in base a quello che sappiamo di altre località vicine su cui si hanno più informazioni. Mi piaceva l'idea di fare all'opposto di quello che viene fatto nella maggioranza dei romanzi storici. Molti autori partono dalla grande storia. Come se io in questo caso fossi partito da Carlo Magno. Invece ho scelto di partire dalla periferia, dalla vita delle persone semplici, i pescatori e i milites di Comacchio per far vedere come all'improvviso cose che a loro sembrano lontanissime irrompono nella loro vita, come i dromoni bizantini che all'improvviso attaccano l'abitato».
Da un lato nella vita dei comacchiesi si palesano conti, missi dominici e nemici intenzionati a distruggere le saline, dall'altro spunta un misterioso sarcofago...
«Era una delle mode del periodo quella della collezione delle reliquie, che venne lanciata da Eginardo alla corte proprio di Carlo Magno. Ad un certo punto dopo la morte di Carlo anche il suo corpo venne trattato come una reliquia, perché si voleva farlo santo. Così ho introdotto nella storia un misterioso sarcofago che costringe i personaggi della storia ad interrogarsi sulle sue origini, sul suo essere una manifestazione divina oppure del maligno. Era un modo anche per raccontare il monachesimo di quel periodo, il modo in cui i dotti del tempo dovevano interrogarsi su oggetti che per noi oggi hanno un senso chiaro ma che per loro provenivano da un passato indecifrabile».
Le reliquie si trasformavano in uno strumento di potere?
«I grandi monasteri del medioevo e le cattedrali avevano spesso al centro del loro culto una reliquia miracolosa, attorno alla reliquia esisteva sempre una narrazione che ne confermasse l'origine e aumentasse l'aura di santità, e questo garantiva un flusso di fedeli e pellegrini. La cattedrale di Comacchio era dedicata a San Cassiano ma senza averne reliquie e quindi la chiesa rischiava di essere superata dai monasteri vicini: mi sembrava anche questa un'ottima occasione narrativa. Ecco allora che ho immaginato la comparsa di questo misterioso sarcofago di piombo. Che però non è una mia invenzione, ritrovamenti del genere nella zona, ad esempio a Padova, anche se non a Comacchio ci sono stati. E gli antichi potevano usare il piombo sia per preservare un corpo, sia per sigillare il male...».
Senza svelare troppo del romanzo per non rovinarlo ai lettori: uno dei filoni narrativi del libro gira appunto attorno alla santità o malvagità di ciò che viene ritrovato nel sarcofago...
«Da ragazzo ero affascinato dalla così detta maledizione di Tutankhamon. Oggi noi sappiamo da cosa derivino i reali pericoli delle tombe antiche ma per gli uomini del passato che nulla sapevano di batteri o contaminazioni...».
Il mondo piccolo descritto nel suo romanzo, dove un luogo di confine è schiacciato tra due imperi, ha però degli echi anche nel presente...
«La vicenda di quello che era un pagus periferico e isolato ma che, a causa del sale, si trova a diventare uno snodo commerciale importante è affascinante e parla al presente. Volevo esplorare questo mondo schiacciato tra Venezia e Ravenna. Le fonti antiche sono telegrafiche ma sappiamo che i Bizantini l'hanno attaccato e i milites di Comacchio sono stati chiamati a combattere mentre Venezia teneva un ruolo ambiguo tra i due Imperi, formalmente sottomessa a Carlo ma filobizantina...
Ho cercato di capire chi fossero questi milites, guerrieri senza cavallo che vivevano su delle isole dove quasi tutto l'abitato era in legno e incannucciato e giravano in barca. Un mondo affascinante, diverso e di confine...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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