Verdi, parlamentare controvoglia fu un Maestro anche nella politica

Un saggio di Michele Nitti ricostruisce l'impegno del compositore, prima alla Camera e poi al Senato. Dove avanzò proposte all'avanguardia

Verdi, parlamentare controvoglia fu un Maestro anche nella politica

«Reputo la sua presenza alla Camera utilissima. Essa contribuirà al decoro del Parlamento dentro e fuori d'Italia; essa darà credito al gran partito nazionale, che vuole costituire la nazione sulle solide basi della libertà e dell'ordine». Sono le parole con le quali, il 10 gennaio 1861, Camillo Benso conte di Cavour si rivolse a Giuseppe Verdi per sollecitarlo ad accettare la candidatura alle elezioni per la Camera dei Deputati del neonato Regno d'Italia. Il compositore, però, non fu particolarmente attratto dalla proposta tanto che tentò di sfuggire all'elezione scrivendo a Giovanni Minghelli Vaini, deputato cavouriano e candidato anch'egli: «Se tu riesci a farmi avere la minorità dei voti, a farti nominare ed a liberarmi da quest'impegno, io non troverò parole sufficienti per ringraziarti di sì segnalato servigio. Farai un bene alla Camera, un piacere a te, ed uno grandissimo a G. Verdi». La strategica tattica verdiana per scansare l'elezione, nonostante l'assenza di campagna elettorale, non gli evitò di imporsi alle urne.

La nomina a parlamentare fu, per Verdi, un vero e proprio fardello. Il 5 febbraio 1861, ad esempio, scrisse al neo-collega Giuseppe Piroli: «Voi siete deputato al Parlamento per fortuna vostra, e dei vostri elettori; io lo sono pure per disgrazia mia, e dei miei elettori». Della sua svogliatezza politica Verdi non fece mai mistero, come quando confessò all'amico librettista Francesco Maria Piave: «Sono ancora deputato contro ogni mio desiderio ed ogni mio gusto, senza avervi nessuna attitudine, nessun talento e mancante completamente di quella pazienza tanto necessaria in quel recinto. Ripeto che volendo o dovendo fare la mia biografia come membro del Parlamento non vi sarebbe altro che imprimere in mezzo dì un bel foglio di carta: I 450 non sono veramente che 449, perché Verdi come deputato non esiste». Purtroppo per lui, però, il compositore di Busseto venne pure nominato senatore nel novembre 1874 nel gruppo di destra: «Non ho nissuna intenzione di venire per ora a Roma per dare il giuramento», precisò subito. E, infatti, giurò ben un anno dopo.

Eppure, la sua idiosincrasia per i palazzi non gli impedì di fotografare con lucidità la politica italiana: «Io non ho mai potuto capire come i nostri uomini di Stato cercano di annientare le poche ricchezze che naturalmente abbiamo»; «La situazione è così desolante che non ho nemmeno la forza d'imprecare contro quel branco di incapaci, stupidi, parolai, fanfaroni che ci hanno portati alla rovina»; «Cosa faranno i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra coglionerie!»; «Leggo poco, perché io tremo sull'avvenire d'Italia. Forse ci voleva un altro Ministero di Sinistra che facesse nascere qualche guajo serio...», sono alcuni passi di sue lettere.

Appare, dunque, evidente come l'attività politica di Verdi rivesta una importanza meritevole di studio in quanto, comunque, si tradusse in un'attività al servizio della nazione. Michele Nitti, deputato e direttore d'orchestra, ha curato un certosino lavoro di ricognizione dell'impegno politico del compositore in Verdi. Diario dell'attività parlamentare (Manzoni Editore, pagg. 240, euro 27, prefazione di Dario Franceschini) attraverso lo studio dei resoconti delle sedute d'aula e del materiale epistolare. Pur vissuto con disagio, nota Nitti, l'impegno politico del Maestro fu «sempre animato da un profondo senso civico e da uno straordinario sentimento di responsabilità». Rivestì un ruolo di fidato consigliere del governo di Giovanni Lanza in merito alle proposte legislative sulla proprietà artistica e letteraria e sulla riforma degli studi musicali (Verdi, ad esempio, volle che i Conservatori riservassero attenzione alla formazione delle donne).

Fu istituita un'apposita Commissione, ma, dopo qualche mese di silenzio, Verdi si disilluse: «Avete più visto il Ministro? Credo che dopo tanto fracasso non se ne farà più niente: e credo poi anche forse a Lui bastava di far fracasso».

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