In ex ergo ai romanzi finiscono talora citazioni notevoli. A precedere la prosa di Neil Gaiman in Coraline (Mondadori), ci sono queste parole di Gilbert K. Chesterton, lautore dei romanzi di Padre Brown: «Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perché raccontano che i draghi esistono, ma perché affermano che si possono sconfiggere».
Per Coraline i «draghi» hanno fattezze umane, anzi familiari. Solo gli occhi distinguono la madre vera dalla copia, ma la copia pare una madre riuscita meglio delloriginale.
Si potrebbero dunque percorrere sentieri intepretativi in questa vicenda che Henry Selick, col titolo Coraline e la porta magica, ha trasferito sullo schermo in 3D, per chi riesce a vederlo così nei rari cinema attrezzati. Si potrebbe insomma scorgere nella madre «vera» la realtà, coi suoi limiti, e nella madre «finta» lillusione (il consumismo, lambizione in genere). Ma dietro lillusione si profila ben peggio che la delusione.
Che cosa cè dietro la porta che dà su un universo perfettamente identico, salvo dettagli come i bottoni al posto degli occhi dei genitori, in compenso superiori a quelli veri e meno pedanti di loro? Genitori per giunta permissivi, oltre che abili in giardino.
Si scorgono le tracce degli archetipi di Coraline: cominciando da Alice nel Paese delle meraviglie, passando per Pinocchio, fino a Linvasione degli ultracorpi. Ma la costruzione degli ambienti è completamente diversa. Anche la psicologia di Coraline - che si chiama così, e non Caroline, per un errore di battuta volutamente non corretto da Gaiman - è abbastanza originale.
Unora e quaranta minuti sono tanti per un film danimazione, anche se esso unisce per la prima volta la tecnica dello stop-motion e quella del 3D (per chi riuscirà a vederlo in questa versione).
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