Parte dal Sud il Risorgimento di Noi credevamo, tratto dallomonimo romanzo di Anna Banti. Vessati dalla repressione borbonica, tre ragazzi del Cilento ardenti di patriottismo giurano fedeltà alla Giovine Italia. Giuseppe Mazzini è a Ginevra, ma è nel salotto parigino di Cristina di Belgiojoso che i giovanotti vanno a cercare sostegno finanziario per la rivolta. La volontà abbonda, difettano lucidità e pragmatismo. Così, il fallimento dellattentato a Carlo Alberto e dei moti savoiardi del 1834 porta i cospiratori a separarsi con successive accuse di tradimento. Ma il capovolgimento geografico introdotto da Martone ne contiene anche un altro, di natura storiografica. LUnità dItalia viene tutta dal basso, dai cospiratori e dalle camicie rosse. Al punto che in quasi tre ore di film (versione più breve rispetto alloriginale) Cavour non compare mai, mentre Garibaldi sintravede appena.
Su una griglia di documenti e testi autentici, il regista sviluppa per quadri successivi la storia dei tre giovani che appaiono più degli avventati temerari che dei coscienti patrioti. Ma spira unaria da Demoni quando compare un azzimato Mazzini prototerrorista in esilio, interpretato da Toni Servillo. Oppure quando seguiamo la cupa delusione di Domenico (Luigi Lo Cascio), mentre assiste al discorso di Francesco Crispi riconvertito alle ragioni del potere.
Noi credevamo è un film corale, una sorta di Meglio gioventù dellOttocento, adattissimo alla riduzione televisiva in due puntate. Curato nei costumi e nelle scenografie, dove il regista ha voluto inserire il carcere di massima sicurezza di Saluzzo nel quale viene ghigliottinato uno dei cospiratori, e la struttura di cemento armato che deturpa la spiaggia del Cilento, il polpettone stenta ad avvincere nel tentativo di romanzare il sussidiario. Unopera non ideologica in senso stretto, come ha ribadito il regista. Ma di sicuro cosparsa di lezioncine rivolte allattualità.
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