Leggi il settimanale

Prima visione

Trent’anni passati dietro la macchina da presa costellate da otto stazioni che raccontano la «Passione» di un paese, l’America, diviso in due anime profondamente contrastanti eppure, al limite del paradosso, in grado di parlarsi, di coesistere imparando dai propri errori del passato. A chi si immaginava un Robert Redford meno impegnato e con una coscienza civile più addolcita dall’elezione di Obama ecco la risposta di The Conspirator, che non si discosta dalle inquietudini di una carriera, da regista, trascorsa a distendere sul lettino da psicanalista il suo Paese, interrogato, lungo gli anni, in maniera incisiva e polemica.
In questa suo ottavo lavoro, Redford analizza la reazione della nazione davanti allo sconvolgente omicidio di Abramo Lincoln, avvenuto sullo sfondo di uno stato profondamente diviso non solo tra Nord e Sud ma anche all’interno dello stesso governo. Una debolezza che portò all’assassinio del Presidente, per mano dell’attore John Wilkes Booth, e al conseguente arresto di sette uomini ed una donna accusati di aver cospirato per l’uccisione di Lincoln. Intorno alla figura femminile di Mary Surratt (impeccabile Robin Wright), proprietaria della pensione dove alcuni degli imputati erano ospiti fissi e per questo motivo portata in carcere con l’accusa, mai dimostrata, di far parte del complotto, si dipana la trama. Lei, profondamente sudista, si trova ad essere difesa da un giovane avvocato (un convincente James McAvoy), eroe nordista, riluttante nel dover prendere le parti della nemica e presunta «assassina» del suo Presidente. Eppure, pur partendo da due anime opposte ed apparentemente inconciliabili, i due finiranno per annusarsi, conoscersi, apprezzarsi, financo diventare amici. La storia ci ha insegnato che il lieto fine non c’è stato perché, come voleva il ministro della Guerra, «La sopravvivenza di una nazione è più importante della vita di una donna».


Eppure, grazie alla bravura dei due protagonisti e di un valido cast di contorno, la suspence dura fino all’ultima sequenza perché il cinema racconta la realtà ma è anche scatola di illusioni e sogni. Come quello di uno stato dove si venga giudicati per l’essenza delle persone e non solo per le proprie origini.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica