Per uno strano fenomeno psicologico, quando una persona annuncia pubblicamente di avere un'età avanzata, scatta l'applauso. Dunque lo scrittore milanese Vittorio Orsenigo, 95 anni, merita una standing ovation. Nel 2021 ha già pubblicato tre libri. L'ultimo s'intitola L'oltraggiosa sopravvivenza (Manni), ed è un romanzo in cui sembra non accadere niente per un semplice motivo: tutto è già accaduto, nella vita e nella testa dell'anziano protagonista. Il suo è un monologo, talvolta un soliloquio, a posteriori. Non è un memoir, è un percorso della memoria agganciato al presente, senza disperazione per il futuro. «Nella quarta di copertina l'editore ha scritto che ho un piede nella fossa», mi ha precisato Orsenigo annunciandomi l'uscita del libro. Non è proprio così. Il protagonista vive «aspettando una fine che sa dietro l'angolo», ma questo in fondo vale per chiunque.
Che visiti una libreria a Parigi, si aggiri per Praga, prepari il pranzo di Capodanno su una terrazza della Costa Azzurra o esamini i fondali della barriera corallina, l'autore-personaggio riflette sulla vita nella prospettiva di chi ne ha vissuta una bella lunga. «Non posso dire di avere sempre temuto la vecchiaia - scrive - ma piuttosto di essere sempre stato irritato dai vecchi, irritato senza un preciso motivo. L'ho spesso considerata una condizione a me esterna, a me non imputabile: più o meno come se appartenesse al genere dei fenomeni naturali: dalla rugiada all'eruzione del Krakatoa». Però, adesso che il vecchio è lui, l'autore se la prende con se stesso con un'irritazione che assume la forma molesta di una dermatite psicosomatica.
Niente accade, nel libro, ma tutto si svolge in un'implacabile associazione di idee. Il rapporto simbiotico con la moglie-musa Tilda innesca ricordi legati a una sessualità trasfigurata, ma porta anche alla rievocazione di pagine erotomani di Philip Roth. E compaiono riferimenti ad autori amati, da Kafka a Thomas Bernhard, da Léautaud ad Apollinaire. Oltre a riflettere autobiograficamente sui rapporti con un padre volitivo, industriale siderurgico di cui ha suo malgrado seguito le tracce, e afflitto dalla morte, quella sì precoce, dell'unico figlio, lasciando infine intendere che certe ferite, per quanto curabili, non sono rimarginabili, lo scrittore ci porta al significato del titolo. La vecchiaia ha qualcosa di oltraggioso per i morti. E se la questione è: ci si rassegna mai davvero alla vecchiaia?, la risposta implicita dell'autore è: no. E non solo lui non si rassegna, ma rovescia le carte. Stupendosi (o fingendo di stupirsi) per aver scritto nella stessa frase le parole «ottuagenario» e «digitale», considera che «è stato proprio l'essere diventato un ottuagenario a scaraventarmi nell'era del digitale».
Ovunque Orsenigo chiama in soccorso una spietata, cinica e deliziosa comicità. Sia che parli di pillole salvavita, pace-maker o prostata, non si piange mai addosso. Esemplari le pagine in cui, con Tilda, va a ripulire del sangue un suo monolocale subaffittato a una disinvolta signorina brasiliana uccisa a coltellate. Come dire: si muore a ogni età, ma chi resta tira avanti con ordine. Orsenigo è uno dei massimi affabulatori del nostro tempo, come gli è stato riconosciuto da Giuseppe Pontiggia, da Rosellina Archinto, da Sergio Romano, da Roberto Barbolini. Padroneggia come pochi l'arte della divagazione. È dunque uno scrittore puro, una specie rara, poco commerciale, autore di una quarantina di opere.
Scorrevole e molto godibile è l'altro suo romanzo appena uscito, Giro del Mondo
(Archinto) storia di un vedovo e di una «vecchia ragazza» in crociera; fascinoso ed esoterico è Armonia degli zombie (Tabula Fati) dove, scrive, «Tanto, alla fine, harakiri, sgozzamento, cancro o marasma senile, si muore sempre».
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