Nuova tendenza editoriale: il libro che non è neppure un libro ma un prodotto omeopatico, un placebo di carta, se le pagine fossero tutte bianche sarebbe più denso di significati (tuttavia ci sono così tante pagine bianche da farli essere dei testi profondi proprio dove non ci sono stampati i caratteri). Soprattutto se declinati in chiave favolistica, come Qualcosa di Chiara Gamberale (Longanesi): si intitola così perché, tra la principessa Qualcosa di troppo che si ritrova con «un buco al posto del cuore» e il Cavalier Niente «che passa tutto il giorno a non-fare qualcosa di importante», il librino è appunto sospeso tra il qualcosa e il niente, il meno di niente. Per riempire i troppi buchi nelle pagine (altro che il buco nel cuore della principessa!) molti disegnini del disegnatore Tullio Pettinato. Il target, mah, una fascia compresa tra i due anni e i più di novanta, quando non si sa ancora leggere o non ci si riesce più.
Si è adeguato al favolismo pure Nicolai Lilin con le Favole fuorilegge (Einaudi), tra i gatti e l'anima di Dio e la gazza e i suoi uccellini e la dignità della Luna e volpi e alci vari riesce a fare due palle così nei quindici minuti necessari a leggere l'operina, vorrebbe essere l'Esopo della Siberia e invece fa rimpiangere perfino qualcosa della Gamberale, sebbene non si sappia cosa. Unico pregio: a differenza della Gamberale i disegnini se li è fatti da solo, e non sono male, non dovesse vendere ha un futuro come tatuatore.
Tuttavia, se appassionati di polizieschi, si può cambiare argomento e comprare un altro bicchiere d'acqua fresca rilegato, la Vita quotidiana dei bastardi di Pizzofalcone di Maurizio De Giovanni (Einaudi), dove al posto degli ampi spazi bianchi e dei disegnini ci sono tante foto (ben 134) del set dell'omonima serie televisiva. Ditemi voi se uno si compra un libro per vedere le foto di questi qui, neppure se me lo regalano. E comunque sia se mettevano solo le foto era meglio, tutti i commissari parlano in prima persona, come se ne avessero una, e si arriva alla fine del libro prima ancora di sentire di avere iniziato qualcosa.
Detto questo, non mi sono mai accanito contro Fabio Volo, ho sempre pensato che scrive quello che scrive e lo legge chi lo vuole leggere, non pochi viste le vendite, ma nel novero dell'omeopatia libresca non poteva mica mancare lui. E questa volta, a differenza dei suddetti, si è un tantino montato la testolina. Titolo: A cosa servono i desideri (Mondadori). Incipit da antologia: «Che meraviglia. La vita!». Neppure «che meraviglia, la vita!», o «che meraviglia la vita!» ma così: «Che meraviglia. La vita!».
Che meraviglia. Volo! A suo modo un capolavoro. Brevissimo, si legge in mezzora, si legge più degli altri perché qui c'è una pretesa, una bella pretesa: l'idea che essere Fabio Volo significhi letterariamente qualcosa (non il qualcosa della Gamberale ma qualcosa davvero, come l'idea di essere qualcuno).
Diviso in due parti, nella prima Volo spiega come è diventato Fabio Volo, parlando di sé come se fosse James Joyce, inserendo citazioni di grandi scrittori messe a paragone con le proprie esperienze intellettuali. L'effetto è involontariamente comico. Per esempio, citazione di Saul Bellow: «C'era un guasto nel mio cuore, una voce che mi parlava dentro e diceva: voglio, voglio, voglio!. Succedeva tutti i pomeriggi, e quando io cercavo di soffocarla, diventava anche più forte». Commento di Volo, in posa da Saul Bellow: «Dentro di me c'erano una forza e un impeto che andavano assecondati, altrimenti si sarebbero lentamente spenti, sarebbero andati persi nel mondo delle cose che non accadono». Una forza e un impeto terribili, assecondati negli anni per diventare Fabio Volo, il quale evidentemente si sente a metà tra Céline e l'incredibile Hulk.
Così Kierkegaard scrive: «Vivere è scegliere. Quanto più passa il tempo, tanto più difficile diventa scegliere; infatti l'anima è costantemente in una delle parti del dilemma, e perciò diventa più difficile svincolarsi». Come ha interpretato Volo questo pensiero? Come la difficoltà di scegliere quale film vedere la sera, senza riuscirci. Non sto scherzando. «La sera mi ritrovo davanti alla televisione con la voglia di guardare un film. Ce ne sono così tanti che più di una volta ho sprecato tutto il tempo nel tentativo di prendere la decisione giusta, scegliere il migliore, e alla fine sono andato a letto senza vedere nulla. Davanti a una vastità infinita di possibilità la responsabilità è enorme e me la sento tutta addosso». Certo, la responsabilità enorme di cambiare canale, di decidere cosa guardare, neppure fosse Aldo Grasso.
C'è perfino Albert Einstein: «Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo». Ecco Volo in posa da Einstein: «Passavo le ore a riflettere, a cercare di prevedere quali potessero essere le mie possibilità di riuscita, se ce ne fosse stata almeno una». Bisognerebbe spiegargli che Einstein si riferiva alla teoria della relatività, non ai romanzini di Volo. Ma Volo insiste, non vede differenza tra lui e Einstein: «È stato fondamentale chiedermi delle cose, indagare con dei quesiti. Dovevo conoscermi a fondo, aggiornarmi continuamente sulla mia persona, su chi ero».
Ecco che si arriva alla seconda parte, settanta pagine quasi bianche con i quesiti che Volo si è posto nella vita per diventare Fabio Volo, un quesito per pagina. Tipo: «Quando entro in un ambiente nuovo, con persone che non conosco, cerco di sedurle e intrattenerle o preferisco stare in disparte a osservarle?». Punto interrogativo e via a pagina nuova.
«Mi piaccio fisicamente? Quale parte del mio corpo mi piace? Quale non mi piace?». Tra cui alcuni quesiti che fanno davvero riflettere, come questo: «Per cosa ho sprecato tempo?». Perché va ammesso, Volo non ha mai sprecato il suo tempo, solo il lettore.
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