"Von Braun sognava di andare nello spazio. E io uso i suoi razzi"

In "V2" l'autore inglese torna a ispirarsi alla storia della Seconda guerra mondiale

"Von Braun sognava di andare nello spazio. E io uso i suoi razzi"

Ci aveva già provato con straordinario successo con Fatherland, che immaginava una vittoria tedesca, ma anche con Monaco ed Enigma: la Seconda guerra mondiale, per Robert Harris - classe 1957, oltre dieci milioni di copie vendute e tradotto in oltre trenta lingue - è un classico dell'ispirazione. Lo dimostra anche questo suo ritorno in libreria con V2 (Mondadori, pagg. 288, euro 20, traduzione di A. Raffo). La storia si svolge nel novembre 1944 e ruota intorno a tre personaggi: Wernher von Braun, il creatore del sofisticato missile V2, si trova sulla costa olandese per sovrintendere a un lancio, insieme all'ingegnere tedesco Rudi Graf, mentre poco distante, in Belgio, l'ausiliaria dell'aeronautica militare britannica Kay Caton-Walsh partecipa a una missione matematica finalizzata proprio a localizzare le basi. Le due vicende viaggiano in parallelo, la suspense cresce sebbene il finale sia noto, e nel contempo Harris prende spazio per descrivere magistralmente gli ultimi letali voli dell'aquila nazista nei cieli d'Europa. L'ispirazione è nata leggendo il necrologio di una vera ausiliaria dell'aeronautica militare britannica, Eileen Younghusband. Capitolo poco conosciuto della storia ufficiale.

«Il 5 settembre 2016 - dice l'autore - ho letto il necrologio di Eileen, ricordata come: Ufficiale della RAF che utilizzò le sue abilità matematiche per contrastare Hitler. Mi è sembrata da subito una bellissima storia e ho capito di volerla scrivere. Da tempo cercavo un personaggio femminile come protagonista e questo era ideale. In Belgio, lontana da casa, con una missione così importante e così poco nota. Molto più di Graf, del V2 o di von Braun, mi ha dato la spinta a scrivere il romanzo».

Nelle sue pagine definisce von Braun «profeta del futuro, fanatico, visionario, scaltro opportunista».

«Penso lui confidasse davvero nella possibilità di viaggiare nello spazio e non credo fosse un nazista, ma apolitico. Dovette però stringere un patto faustiano perché l'unica possibilità che aveva di mandare i V2 nello spazio era il supporto dell'esercito tedesco, che avrebbe finanziato i V2 solo se diventavano un'arma. A causa di quest'arma sono morte 20mila persone: von Braun in questo ha una parte di colpa».

Lei ben descrive l'arrivo di von Braun a Londra insieme ad altri ingegneri per parlare al ministero dell'Aeronautica nel settembre 1945: vide le rovine della città, ciò che i suoi missili avevano provocato.

«La morte di 2700 persone. Molto grave, ma nulla in confronto ai civili tedeschi uccisi dalla RAF: difficile trarre lezioni morali rispetto a quell'epoca. Allora il mondo era sottoposto a un tale livello di violenza e brutalizzazione che tali domande etiche non aveva senso fossero poste».

Problemi con la ricerca o l'accesso alle fonti?

«C'è moltissimo materiale su von Braun, sul programma V2 e sui missili sganciati su Londra. Meno sulle contromisure britanniche. Problemi li ho avuti invece per la pandemia: ho fatto in tempo ad andare in Olanda a visitare i siti di lancio, ma quando ho scritto il resto del romanzo i viaggi in Europa erano vietati, quindi mi sono affidato all'immaginazione, a Google Earth e alla rete».

La pandemia ha avuto altri effetti su ritmo e ispirazione?

«Inaspettatamente: è stato come scrivere in tempo di guerra. Molti i parallelismi: il messaggio a reti unificate dalla regina, la conta dei morti, il senso di precarietà e tutti i cliché, come il fatto di sentirci continuamente dire Sarà tutto finito sotto Natale, l'incapacità della popolazione di scendere a patti con quello che stava succedendo. Tutto questo mi ha aiutato, in un certo senso. Dal punto di vista pratico ha fatto sì che fosse molto più difficile concentrarmi per più di quattro ore al giorno e ne risulta una scrittura molto stretta, intensa».

Il personaggio immaginario di Graf che cosa rappresenta?

«Ciò che potrei essere io in una situazione come quella. Realmente interessato alla scienza, incontra von Braun, questo personaggio molto carismatico, con cui sviluppa la tecnologia più avanzata e sofisticata del pianeta nel 1944. Poi l'idealismo si trasforma in un'arma e Graf si ritrova a confrontarsi con la realtà del regime, che non vedeva in maniera così evidente finché se ne stava sul Baltico, concentrato nel suo lavoro ingegneristico. Non è un traditore, ma una persona per bene intrappolata nella macchina della guerra».

In Fatherland lei sovvertì il finale di partita tra vinti e vincitori. In questo romanzo il focus è un altro, ma viene spontaneo chiedersi se i V2 avrebbero potuto essere l'arma definitiva per Hitler e consentirgli di vincere la guerra.

«Nel romanzo c'è una citazione, vera, di Hitler, dove: Se avessimo avuto questo missile nel 1939, nessuno avrebbe potuto fermarci. Ed è vero: la Polonia non avrebbe potuto resistere, e avrebbe potuto vincere subito la guerra. Se la Germania fosse stata in grado di resistere, stava sviluppando i V3 e i V4, che avevano gittata sufficiente per raggiungere gli Usa e bombardare New York: in Fatherland credo di aver parlato di questa testata.

Ma nel 1944 il V2 non aveva più senso: per quanto possa aver causato danni ingenti non era nulla di fronte alla forza dei bombardieri britannici, sei volte superiore. Il V2 rimane un'arma straordinaria e un'allegoria incredibile di ciò che l'essere umano può fare. Ma nulla poteva cambiare il corso della guerra».

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