«No, guardi che mio marito non canta. Chiamano anche di notte, non è lui, è laltro». Piero Focaccia, non ne bastava uno, ce ne sono due a Cervia ma quello autentico, verace, fresco come ai tempi belli ha sempre la stessa voce, smarrita dai contemporanei in questi giorni feroci di i pod, mp3, cd e affini. «Guardi che io faccio le mie serate, canto, mi diverto, amo il jazz, interpreto Buscaglione e Carosone, ogni tanto gli amici mi chiedono un classico e allora Stessa spiaggia stesso mare».
Non poteva andare diversamente la vita per uno nato a Cervia, figlio di Tommaso, anni ottantaquattro, una bellezza di esistenza da bagnino di salvataggio presso le colonie marine di frati e suore prima di aprire un negozio di carburanti a Milano Marittina, essendosi il figlio, già danaroso, comprato un terreno con annesso deposito di gasolio. Anni ruggenti, la riviera romagnola era tutta sandali tedeschi e femmine scandinave, il juke box aveva messo in crisi il «lissio». «Ah, il juke box, mi piacerebbe averne uno ma costa una cifra. Sa cosa faccio? Offro i miei 45 giri a un amico che invece il juke box ce lha».
I vinili, ecco la fetta che non cè più e che Piero Focaccia conserva, da quei favolosi anni Sessanta: «Ho cominciato a cantare a quindici anni, ho la terza avviamento agrario, ero figlio unico e la musica mi piaceva da pazzi. Imperversava Celentano e fu lui a farmi svoltare. Cantavo con unorchestra al Trinchetto di Cattolica, avevo anche un complessino, i Camis. Poi la notte di capodanno del 59, al teatro comunale di Adria sono in programma io, dopo un certo Tajoli, omonimo del Luciano. Faceva un freddo cane, fuori nevicava, dentro, il riscaldamento non andava, io battevo i denti e Tajoli smelodiava mentre la gente aveva voglia di far festa. Passava il tempo, dopo mezzanotte toccò a me. Cantai roba rock, urlai, mi gettai a terra e fu il finimondo, uomini e donne fecero cerchio attorno a me, mi offrirono da bere, Tajoli era una jena, prese il treno e se ne tornò a Cervia. Io, con la mia orchestrina, montai su una 1400 cantando ancora 24mila baci e Impazzivo per te».
Fu quello il debutto vero, vennero poi le prime serate di sostanza: «Quattrocentomila a esibizione, già un bel prendere. Andai a Castrocaro, cera anche la Zanicchi,non arrivai nemmeno in finale ma Gianni Ravera mi convocò a Milano. Dovevo partecipare al festival di Sanremo con Il cappotto rivoltato, il provino andò bene ma la canzone fu cantata da Aurelio Fierro, alla sua maniera, non alla mia e fu un flop. Giravo diversi locali, il Moulin Rouge di Torino, il Maxims di Milano, la Rupe Tarpea di Roma. Arrivò il boom».
Il boom fu provocato dallaccoppiata Mogol-Soffici (Piero papà di Roberto, in arte Bobby Solo): «Scrissero Stessa spiaggia, stesso mare. Il resto lo sapete».
In verità nel resto cè anche il cinema, pensate un po, Piero Focaccia attore: «Mi volle Comencini, mi infilò in un episodio (Il trattamento di eugenetica) de Le Bambole con la Elke Sommer, avevo ventanni. Poi ci fu la grande occasione, Monicelli mi chiamò per lArmata Brancaleone, del 66. Feci il provino, girai alcune scene, montai a cavallo, ero pronto ma dovetti rispondere alla leva, mi chiesero se conoscessi qualche ministro, una raccomandazione, niente, partii per Viterbo e Brancaleone restò un sogno. Nel 72 un altro film, con la Fenech, La bella Antonia, prima monica e poi dimonia». Visto largomento uno può pensare allimprevedibile sciupafemmine, negativo: «Sul set, giravamo a Gubbio, cera anche mia moglie Carla, io sono bravo». Carla, in verità, allanagrafe farebbe Maria: «Ma suo padre si era sbagliato e decise di chiamarla comunque Carla». La quale, per tenere fede alla famiglia, ha donato due figli, Serena, a sua volte madre, per cui Piero è un nonno, e Nicola che ha 23 anni. E che fa, il Nicola? Elementare, il bagnino: «Bagni Alba e Ulisse, a Cervia, Bagno Tardini a Milano Marittima. Ne vorrei comprare uno ma vi vuole una montagna di soldi». E le canzoni,invece, quelle non costano: «Ne avrei una e davvero bella. Di Bruno, Bruno Lauzi, lo stesso che scrisse per me Permette signora. Un giorno a Milano, prendiamo il taxi e lautista ci riconosce, si parla come sempre di tutto e il taxista dice: Lo sapete chi rovina gli italiani? La sua ignorantità. Bruno e io scoppiammo a ridere, Lauzi decise di mettere giù il testo e la melodia, tra pappagalli, spiaggia, una lingua approssimativa. Erano i giorni che precedettero la sua scomparsa. Sto cercando un produttore». E oggi, che cosa ascolta Focaccia?: «Mi piaceva Rino Gaetano, qualcosa di Ramazzotti. Poi al Festival buono Silvestri.
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