Massimo Malpica - Luca Rocca
da Roma
Belpietro «vergogna del giornalismo», il Giornale «spazzatura», i suoi cronisti «iene dattilografe». Elegante il j’accuse di Stefano Menichini, direttore di Europa, quotidiano della Margherita: fulminato dal sacro fuoco di un’etica professionale bifronte sull’altare della difesa di Silvio Sircana, indica tra gli insulti la (sua) retta via del giornalismo. Anche aver scritto che Sircana era vittima di un ricatto dimostra mancanza del «coraggio virile di rivendicare l’aggressione». Severo pure il condirettore Federico Orlando che parla di «giornalismo da angiporto, da suburra, da porno-shop», sospirando per la «scomparsa dei fatti dal giornalismo», sostituiti da «commenti falsi perché non correlati ai fatti».
La crociata non è la prima campagna pedagogica del giornale dei Dl, che vanta due precedenti. Il 25 marzo 2005 Europa aveva già illustrato i principi cardine della professione in un articolo sulle allora incombenti elezioni regionali nel Lazio, mettendo nero su bianco - come l’Unità - la testimonianza di Mario Limentani, reduce dai campi di sterminio che, alle Fosse Ardeatine, aveva contestato Francesco Storace. «Ho rivisto quella scena in via Arenula, nel ’41, quando fui fermato da suo padre e portato nella sede del partito a Palazzo Braschi dove lui e altri mi hanno riempito di botte». Come è andata a finire è noto: il padre di Storace, nel ’41, aveva 12 anni. L’Unità ed Europa non si preoccuparono di verificare prima di dare alle stampe, sotto elezioni, quell’accusa, non solo falsa ma anche non propriamente «correlata ai fatti».
Il quotidiano fondato da Gramsci, pur con molti distinguo, abbozzò delle scuse. Europa, approfittando di una visibilità leggermente minore, si risparmiò la fatica. Anzi. Il giorno dopo, in prima pagina, rivendicò con «coraggio virile» l’aggressione, omettendo però di avervi partecipato. Storace, scriveva il giornale, si «rifugia nel vittimismo», «denuncia complotti mediatici ai suoi danni e punta il dito contro l’Unità, colpevole di aver riportato la testimonianza di Limentani».
Un anno dopo, a giugno 2006, Orlando è alle prese con il Savoiagate. E rimarca come non sempre importa se quanto vien fuori dalle intercettazioni sia o non sia reato: «Non omne quid licet onestum est, insegnava il diritto romano», ammonisce. Poi attacca Salvo Sottile, portavoce di Fini: «Nell’Inghilterra anglicana i ministri chiudono per sempre se cascano in un’avventura galantespionistica (...) nell’Italia dalla doppia morale il primo reggicoda al seguito del ministro si sente Clinton, e dalla macchina di Stato si fa portare la stagista nella sua stanza ministeriale».
Insomma, per Orlando il giornalismo dovrebbe essere «protagonista e non prosseneta» degli scandali, dovrebbe scoperchiare e non coprire, anche perché «senza pubblicazione delle notizie» le malefatte «dei potenti (...) si trasformerebbero in patrimonio di 2-300 personaggi dell’oligarchia». Col centrosinistra in «tutti i gangli del potere» ogni scandalo, avverte Orlando, «sarà un test dell’eticità che esso ha predicato».
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