Politica

Spionaggio al Corriere Tronchetti si difende: «Mai infranto le leggi»

Lettera a La Stampa dell’azionista Telecom. Tavaroli, ex capo della Security: non ci ordinò di spiare l’ad Colao e il vicedirettore Mucchetti

da Milano

Una lettera alla Stampa per uscire dall’angolo e per ribadire la propria innocenza. «Non ho mai violato la legge»: Marco Tronchetti Provera scrive al direttore del quotidiano di Torino Giulio Anselmi, mentre emergono altri dettagli dell’interrogatorio di venerdì scorso di Giuliano Tavaroli. In cella da quattro mesi, l’ex numero uno della Security di Telecom, non modifica la sua linea difensiva, nemmeno davanti al terzo ordine di custodia. La conferma arriva venerdì, nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip Giuseppe Gennari che gli contesta episodi di spionaggio e hackeraggio dalle parti di via Solferino, al Corriere della Sera. Lui risponde senza mai oltrepassare i due paletti che delimitano lo spazio della sua difesa: Marco Tronchetti Provera, fra le altre cose azionista Rcs e i vertici di Telecom-Pirelli non sapevano assolutamente nulla dei report e dei dossier che Tavaroli e i suoi uomini confezionavano a getto continuo su giornalisti, manager, politici. Lui, poi, era a capo di una struttura piramidale e non poteva conoscere i metodi utilizzati dai suoi investigatori o da quelli cui appaltava i lavori, come Emanuele Cipriani e Marco Bernardini.
Così, quando Gennari gli chiede perché lui e la sua struttura ficcarono il naso negli affari della Rcs, violarono il computer dell’allora amministratore delegato Rcs Vittorio Colao, portandogli via una gigabyte di memoria, pedinarono il vicedirettore ad personam del Corriere Massimo Mucchetti, lui alza un doppio muro. La testa di Telecom-Pirelli era all’oscuro di quelle ricerche, lui stesso mirava ai risultati e lasciava la scelta del metodi ai suoi 007. Il gip però non sembra affatto convinto di questa tesi e anzi la ritiene inverosimile. E l’ha scritto nell’ordinanza: dietro l’attività di spionaggio ci sarebbero logiche «tendenti a beneficiare non l’azienda, ma colui che in un dato momento storico ne è proprietario di controllo». Insomma Tavaroli avrebbe deciso di portare la croce. Certo, secondo lui, personaggi come Mucchetti, ai ferri corti con Tronchetti Provera o Rosalba Casiraghi, voce della minoranza nel collegio sindacale di Telecom, potevano suscitare un qualche interesse. Certo, tante erano le personalità che si cercava di mettere a fuoco, ma questo non significava affatto entrare a piedi uniti nella vita privata altrui e nemmeno commettere una sfilza di reati. La stessa risposta arriva quando il gip fa notare a Tavaroli che l’ex inviato di Famiglia cristiana Guglielmo Sasinini, ora ai domiciliari, spiegò al dirigente Telecom Maurizio Nobili di aver redatto alcuni report relativi a politici e altri personaggi su richiesta di Tavaroli che agiva - a suo dire - su mandato di Tronchetti Provera. Assolutamente falso, replica lui che, sul punto, in ogni caso, non può essere smentito da Sasinini che era solo un suo consulente.
Ma gli interrogatori di garanzia vanno avanti: prima di Tavaroli era stato sentito Fabio Ghioni, il capo del cosiddetto Tiger Team di Telecom, la struttura preposta alla sicurezza informatica dell’azienda, che si era avvalso della facoltà di non rispondere e che dovrebbe essere sentito di nuovo nei prossimi giorni dai pm. A breve, verranno ascoltati anche Sasinini e Rocco Lucia, stretto collaboratore di Ghioni, pure ai domiciliari.
Ieri però ha tenuto banco la lettera di Tronchetti Provera alla Stampa: «Mai nella mia vita - scrive l’ex Presidente di Telecom - e nel corso della mia attività professionale, ho agito violando la Legge, né direttamente né dando disposizioni di farlo. Voglio dirlo con forza. Voglio dirlo ai lettori, alle donne e agli uomini di Telecom Italia, alle persone della Pirelli che da tanto tempo lavorano con me».
Di più, Tronchetti si chiama fuori dalla guerra di via Solferino e respinge senza citarla l’ipotesi del gip che nell’ordinanza scrive testualmente: «Né è pensabile che Tavaroli si sia esposto a rischi quali quelli di cui oggi deve sopportare i costi senza una definita ed esplicita copertura da parte dei vertici aziendali». «Da tempo - è la replica - rappresento Pirelli nel sindacato azionisti del Corriere della Sera.

Nelle diverse vicende che ne hanno riguardato la proprietà ho sempre cercato, non essendo né il maggiore né il più influente azionista, di costituire un elemento di raccordo fra i soci, per assicurare quella stabilità e pluralità di azionariato che è garanzia di indipendenza del Corriere della Sera, che considero un’istituzione del Paese».

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