«Lo splendore dei discorsi»? Un sicario che uccide per disperazione

Seconda prova romanzesca per Giuseppe Aloe. Il dramma di un uomo che perde la figlia e la moglie gli "chiede" di non farla più vivere. La conversione a un'esistenza condotta al confine tra la vita e la morte. Degli altri. Finché non troverà una via di speranza...

Sicario per disgrazia. Doppia disgrazia. Incredibile disgrazia. Una figlia di pochi anni che muore sull'altalena. Un ordinario disastro. Un bimba che si accanisce nel gioco e vola lontano. Un impianto che le crolla addosso e non le lascia tregua. Finisce così la breve e giovane vita di una bambina e finisce di lì a poco anche quella dei suoi genitori: una mamma preda di una paralisi che si lascia «suicidare» dal marito. Membra assenti e cervello che faticosamente continua un penoso lavoro e lavorio. Poi la spinta nelle onde di un mare che la inghiotte con le sue pene. Per sempre. Condizioni irreversibili, drammatiche. E la fine. Programmata. Nella quale cade anche la polizia, in preda a una misericordiosa bugia. E una pietà consapevole. Due vite troncate e una terza che non finirà in un'urna dopo la cremazione ma che di fatto sarà l'ombra di se stessa. Un padre di famiglia, un padre che perde la famiglia. Un padre che perde il diritto di essere padre. Perde la figlia, la moglie. E alla fine anche se stesso.
La disperazione per quelle due morti lo spingono sulla frontiera più triste, l'unica che potesse accogliere uno specialista delle armi e del tiro. Il bersaglio. Quello che a lui era sempre piaciuto, quello in movimento. Che nella vita si chiama essere umano. Una pallottola. Uno sparo. È la frontiera della morte. Quella che ormai, da sicario, distribuisce generosamente eseguendo gli ordini di una criminalità organizzata quanto implacabile. L'ex padre ormai non più padre finisce al confine in cui vita e morte sembrano confondersi, laddove muore anche il destino perché ignari personaggi vengono spediti all'altro mondo per decisione dei guru della criminalità. E per mano di un cecchino puntuale e implacabile. Armato di disperazione più che di fame di sangue. Una doppia disgrazia che cambia le prospettive della vita di un uomo. E che finirà quando il sicario conoscerà un'anziana donna e un sosia di Kafka che gli faranno capire il senso della vita. E la meraviglia di certe parole.
Giuseppe Aloe è alla sua seconda prova e «Lo splendore dei discorsi» (Giulio Perrone editore, pp. 256, 15 euro) ha tutta l'aria restare un libro da ricordare. Triste, struggente, psicologicamente impegnativo, questo noir psicologico non sembra essere forse l'ideale per una lettura serena sotto l'ombrellone ma rappresenta certo una pagina di qualità. Garbo e immaginazione si mescolano e si accavallano offrendo al lettore un piatto ricco capace di rattristare, ma anche di regalare emozioni. Purissime. Amarissime. Ma uniche.

Come molti frammenti che riscattano una produzione letteraria per lo più povera di idee, contenuti e ricchezza espositiva. E non è detto che versare qualche lacrima, in fondo infondo, faccia male alla salute e al morale.

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