Monza - I piloti della Mercedes sono davanti a tutti, primo Lewis e secondo Nico. Dicono «che sono liberi di lottare». Non sono i soli. Anche lui è libero di lottare. Lui Luca di Montezemolo. Lui il presidente della Ferrari. Lui che si prenderà questo mese di tempo per vendere cara la pelle. Perché la sensazione forte è che ormai sia tutto fatto, tutto deciso, se ne andrà dopo una vita trascorsa in Rosso. Da definire, da decidere, da capire restano solo i tempi esatti e il come. Troppe, infatti, le cose ancora da chiarire e sistemare sull'asse Torino-Maranello: questione di annunci da fare, di semestri record da mostrare e anche di liquidazioni immense da concordare. Lui, il presidente, ieri, qui, nel paddock, con questa visita che sapeva di ultimo saluto, ha sì precisato cose, ma nel farlo ha inevitabilmente contribuito a sprofondare il Gran premio d'Italia in un'atmosfera ben più decadente e mesta di quanto raccontino gli scarsi risultati in pista delle due Rosse.
Perché sì, è vero, le Mercedes sono di un altro pianeta là davanti di un secondo e oltre a Fernando solo 7° e a Raikkonen 11° e bocciato in Q2. E perché sì, fa male vedere sei motori uber alles tutti schierati nei posti che contano, prime tre file: due Mercedes, due Williams e due McLaren. Ma ciò che più impressiona è vedere un Montezemolo costretto, nella tradizionale visita pastorale, a parlare del proprio addio. Per smentirlo, come era prevedibile; per allontanarlo un poco. Soprattutto, per lasciarne intendere le condizioni. Il passaggio chiave del suo dire è infatti uno e uno soltanto, quando spiega «a marzo ho dato la mia disponibilità agli azionisti per restare altri tre anni e se e quando ci fossero cambiamenti sarò io ad informarvi». Modo diplomatico, il suo, per dire a John Elkann, a Sergio Marchionne, che se un domani questa non sarà più la sua Ferrari, una Ferrari autonoma, allora se ne andrà.
Tutto questo mentre lo spettro, oggi, del doppiaggio in pista aleggia sul box ferrarista «però no, il nostro passo è buono, non guardate la prestazione in qualifica, per la corsa siamo messi meglio» dicono e fanno capire gli uomini di rosso vestiti. E su questo, almeno, gli si può credere. Più difficile farlo sul resto, quando dicono «Alonso figurati se vuole andare via». Intanto, però, Fernando da una settimana ha cambiato versione, non si limita più a lasciar intendere che sta discutendo sull'estensione del contratto dopo la naturale scadenza fissata al 2017, bensì ripete «salvo non ci siano grosse novità continuerò per almeno due anni perché questo è il contratto che ho». Alonso che ieri ha accolto bene, facendo persino finta di crederci, la notizia di Montezemolo che resta. «Il presidente è molto importante per me e per la Ferrari» ha detto Fernando, «ho parlato al telefono con lui venerdì sera e mi ha detto che tutte quelle voci non sono vere e che lui vuole rimanere e questa è la migliore notizia e non c'è nessun motivo per cui debba lasciare. Abbiamo un rapporto molto stretto, lui tratta i piloti come membri della sua famiglia». E però «no», ha risposto secco Alonso quando gli hanno chiesto se l'eventuale uscita di Montezemolo possa incidere sulla sua decisione di rimanere un pilota Ferrari.
Il decadentismo monzese è nei fatti, è ovunque, impregna l'aria ed è inevitabile che sia così.
Perché c'è un presidente che rappresenta la Ferrari più vincente di sempre dato per partente, c'è un grandissimo pilota come Alonso che si teme partente, c'è un ex fortissimo pilota come Raikkonen che sarebbe meglio partisse. Soprattutto ci sono due Mercedes imprendibili pronte a partire e scomparire all'orizzonte. Salvo autoscontri, s'intende.
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