Gli americani con divise e tute esattamente uguali a quelle che avrebbero indossato nel 1980, l'anno del boicottaggio alle Olimpiadi di Mosca, gli italiani con il logo sulle maglie in ricordo di Pietro Mennea. Pronti via, sembrano i mondiali della nostalgia. E forse un po' di nostalgia c'è: Mosca accoglie il mondo, il più gran numero di nazioni (206) mai messe insieme da un evento sportivo, ma non il meglio del mondo. Troppa gente a casa per doping, altri con cerotti e muscoli malati. E così tutti aggrappati a San Usain Bolt, signore, ambasciatore, padrone-patron dell'atletica mondiale. Bolt come fu Carl Lewis: bastava un guizzo per tracciare una scia di sole. Che poi non tutto sia stato chiaro e pulito è storia postuma, peraltro mai svelata fino in fondo. E così oggi Bolt: senza di lui sarebbe cielo grigio, lo mandi in pista e le nuvole si aprono, il cielo si rasserena, l'atletica ritrova il suo maestoso impero che ne fa lo sport più famoso, popolato e coltivato nel mondo. Gli svolazzano intorno i dubbi dei mal pensanti o di quelli che pensano. Lui ha risposto per le rime: «Tenete il mio sangue per i prossimi 50 anni e controllatelo». Ma non tutti gli credono, il dubbio serpeggia come un veleno sottile che ti ammazza giorno dopo giorno. Sulla stampa tedesca, il lunghista Christian Reif, oro agli europei di Barcellona, ha allungato il malpensiero: «Nessuno così alto (Bolt è m 1,96, ndr) è mai riuscito a essere veloce come lui: non credo sia dovuto solo a fattori genetici. Ma le persone hanno bisogno di eroi, e questo eroi non possono perdere la faccia». Bolt per salvare l'atletica? Un'ipotesi da non scartare.
I mondiali di Mosca si aprono tra battaglie sui diritti dei gay e quel puzzo di doping che non ci abbandona mai. Dopo le ultime ripulite i 100 metri, la gara regina, sono rimasti con l'icona e poco più. Bolt sembrerà solo più che mai, nonostante la presenza di Justin Gatlin e di una volonterosa compagnia di comprimari. Oggi i quarti, domani semifinali e finale (ore 19,50), poi toccherà ai 200 e alla staffetta. Usain va per la tripletta e questa volta avrà un peso in più nel trovare un avversario in meno. Non ci sarà possibilità di sbagliare ancora una partenza, come gli successe due anni fa a Daegu quando lasciò pista e titolo a Yohan Blake. Il cartellone aveva pensato alla rivincita, ma i muscoli di Blake hanno fatto tilt. Si prospettava la gustosa sfida con Tyson Gay, mai come quest'anno tanto vicino a Bolt. E, invece, il doping ha fatto saltare il banco. Dannazione e punizione di un mondiale che parte con l'one man show e scoprirà i suoi personaggi cammin facendo. Quest'anno Bolt ha corso in 985, nemmeno tanto forte per le sue abitudini, Gatlin lo ha sconfitto sulla pista romana del Golden gala, l'altro giamaicano Nesta Carter insegue con 987. «Nelle ultime settimane Bolt ha lavorato molto bene, e ora è in forma e pronto, non come ai Trials giamaicani quando invece non lo era. La pista del Luzhniki Stadium è molto veloce? Meglio, così andrà ancora più forte», ha raccontato Glenn Mills, il suo tecnico più che mai santone.
La Giamaica è un paese devastato dallo tsunami doping, gli americani presentano la compagnia più folta (133 atleti), la Russia vuol provare a battere gli Stati Uniti nel medagliere, anche negli ori. Se ce la facesse sarebbe la prima volta: previsti tra 10 e 15 ori. Negli ultimi mondiali due anni fa in Corea del Sud, gli americani chiusero con 3 ori in più. Tutti in pista, poi si vedrà.
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