Qualche mese fa, si era ripreso da un incidente in moto, lottando come un leone. Ieri un malore improvviso si è portato via, a 75 anni, Giuliano Besson, uno degli alfieri più istrionici e sanguigni della Valanga azzurra.
Piemontese di Sauze d'Oulx, dove ancora viveva con la famiglia; forma mentis puntata a sacrificio e disciplina. Et voilà, un 16enne Giuliano si trovò arruolato fra le schiere di Mario Cotelli ed Oreste Peccedi, gregario, comprimario nel gruppone a due punte, capitanato da Gustav Thoeni e Pierino Gros, suo conterraneo. Divenne discesista, fu a Sapporo 1972, poi campione Italiano e 7° sulla mitica Saslong. Nel 1973 vinse la Kandahar delle Ande, la gara più veloce al mondo. Nel 1974 il botto con un 2° posto sulla Streif di Kitz alle spalle di Roland Collombin. A pari merito con lui c'era Stefano Anzi, bormino doc. In mezzo ai mille talenti della Valang trovò un amico e un collega: Anzi Besson, brand che fece storia nell'abbigliamento sportivo era già nei loro cuori. Li chiamarono sindacalisti quando provarono a protestare contro le regole così dure e diverse di una federazione che ancora non concepiva sponsorizzazioni e visioni oltre lo sport. Spiegò tutto in un libro, anche la cacciata, una vera e propria radiazione, dalla squadra che all'inizio sembrava voler seguire quei due capitani d'impresa, poi tornò solo a sciare. Lo scorso anno il film di Giovanni Veronese, La valanga azzurra era tornato anche su quel periodo doloroso, ma di nuovo, le visioni di Paolo De Chiesa, il più giovane di quella Valanga e di Besson sembravano divergere.
Besson aveva depositato il marchio valanga azzurra, ma i compagni, quasi derubati di un titolo più intimo che commerciale, non avevano gradito quell'improntitudine.Ci vorrebbe una gara per vedere chi ha ragione. Ed è bello pensare che Besson si stia preparando a correrla lassù in cielo.