di Benny Casadei Lucchi
E adesso, ufficialmente, il mondiale della Ferrari è più in mano agli ingegneri che al pilota. E adesso, inevitabilmente, se in queste due provvidenziali settimane che ci separano dal Gp dell'India non dovessero arrivare novità efficienti ed efficaci dagli ingegneri di Maranello, dai computer di Maranello, dalla galleria del vento di Colonia perché quella di Maranello non funziona, allora dovremmo metterci l'animo in pace e pensare mestamente a come fare ciao ciao con la manina ai sogni iridati.
Questo per dire che la Corea non è per la Ferrari una Corea di calcistica memoria, naufragio mondiale del '66, Corea del Nord, brutta storia lo stesso. È una Corea che per il momento sa di catenaccio, di gara provinciale per dirla alla Stramaccioni, sa di arrivederci non di addio alla vetta. Perché una pezza si può ancora mettere, eccome; perché quel mini mondiale di cinque Gp annunciato da Alonso nel dopo Giappone è solo alla prima tappa; perché il team principal Domenicali e il team tutto l'avevano detto che in Corea sarebbe stata ancora una gara in difesa in attesa delle novità da mettere in pista in India. Il problema è che gli altri scodellano furberie tecniche a ripetizione, sempre acrobatici sul filo regolamentare, sempre a spingere. Avevano portato ideuzze in Giappone e altre ne hanno presentate in Corea e mago Adrian Newey sul podio dà l'esatta misura di quanto ci sia di lui nella rimonta. La verità è che a vederla storta, c'è il rischio che il Cavallino evolva e al contempo lo faccia la bibita con le ruote e alla fine nulla cambi. Questo sì che è il grande cruccio.
La Ferrari e i suoi uomini ci hanno però abituato agli improvvisi recuperi di prestazione, a ribaltare i pronostici, è tutta la stagione che si spaccano la schiena in questo e a questo dobbiamo affidarci. Ma stavolta il cambio di marcia richiesto è pari, se non maggiore, a quello che a inizio campionato li portò a stravolgere le monoposto dopo i terrificanti test spagnoli. Per cui roba grossa.
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