Stava curvo da sempre. Pronto allo scatto per deviare o parare quel pallone impossibile. Villiam Vecchi se ne è andato dopo aver sofferto troppo, però in silenzio come sanno fare i portieri di football, ultima ombra prima del gol. Ha vissuto bene mai dimenticando le radici di Scandiano, terra di sapienti e di poeti, scriveva Carducci, l'Emilia che moltissimo ha dato allo sport. Dimenticato da questo calcio che straccia e brucia le sue figurine, Vecchi imparò l'arte osservando il Ragno Nero, Fabio Cudicini titolare di quel grandioso Milan. Vecchi gli prese il posto e parò l'impossibile la sera del 16 maggio del 1973 agli inglesi del Leeds, con Joe Jordan centravanti, nella finale della coppa delle coppe a Salonicco. Chiarugi segnò su punizione dopo 5 minuti, poi difesa all'italiana e Villiam si presentò all'Europa del football. Fu gloria finita in acqua e lacrime e rabbia qualche giorno dopo quando nella fatal Verona Vecchi incassò cinque gol e il Milan lasciò il titolo. Tra i pali aveva un tempo eccezionale di reazione, parò due rigori a Bettega e Anastasi nella finale di coppa Italia, teneva le maniche della maglia arrotolate sopra i gomiti per muovere meglio le braccia. La sua carriera di vice e allenatore dei portieri lo portò in giro per i grandi teatri accanto a Carlo Ancelotti: Parma, Milano, Torino, Madrid, sempre curvo, affabile, legato al rito della famiglia, con quella faccia che lo faceva assomigliare a Charlie Watts batterista dei Rolling Stones e lui ghignava per questo accostamento.
Il calcio italiano perde un'altra fetta della sua storia spesso trascurata: uno scudetto, due coppe delle coppe, una coppa dei campioni, una intercontinentale. Era il Milan di Nereo Rocco, era il Milan di Villiam Vecchi.
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