Gli spettri del passato che ritornano, con tutto il loro angosciante peso. Per Ivan Basso, intervenuto l'altro ieri come testimone nel processo all'Operacion Puerto, presso la sezione numero 21 del Tribunale penale di Madrid, sono ricordi lontani, ma gli è bastata una domanda per ritrovarseli lì accanto, come spettrali incubi. Basso ha giurato di dire la verità e ha ricordato che fin da bimbo sognava «di diventare il corridore più forte del mondo».
Cose già sentite e dette di fronte al Coni, nel 2007: il varesino aveva ammesso il rapporto con Eufemiano Fuentes, e per questo gli era stata comminata una squalifica di due anni. «Cosa che mi ha portato ad una doppia condanna, sportiva e penale. In tutta questa storia penso di essere l'unico ad aver subito due sanzioni», ha detto. Tutto bene fin quando arriva la domanda dell'avvocato di Manolo Saiz (ds della Liberty, anche lui arrestato con Fuentes nel 2006), che chiede al giudice di mostrare a Basso un foglio manoscritto sequestrato a Fuentes e datato 27 aprile 2005, ma ce ne sarebbero anche degli altri, datati 2003. E soprattutto, ce ne sarebbe uno con scritto: «Bisogna portargli 2 sacche di plasma, 3 unità di ormoni, 10 cerotti di testosterone e il numero del conto della banca svizzera». Insomma, è difficile che Basso possa subire una nuova sospensione per lo stesso reato, ma a livello d'immagine, il varesino che aveva giurato di avere le sacche ma di non averle mai utilizzate, non ne esce benissimo.
Non è bello nemmeno che si stia parlando ancora di cose accadute nel 2006, in pieno periodo Zapatero, tutto intento a mostrare la forza della sua Spagna, che poggia le sue basi su piedi d'argilla. Poi Zapatero è caduto. Ora c'è chi vuole far vedere che qualcosa si sta muovendo, con colpevole ritardo, ma dalle 7000 pagine che sono all'esame degli inquirenti, escono i soliti noti, nonostante Fuentes abbia detto a chiare lettere che tra i suoi clienti non c'erano solo ciclisti, ma anche calciatori e tennisti.
Poco si muove, il silenzio e l'omertà iberica regnano sovrani. Si fa un processo, ma non per doping, perché all'epoca dei fatti in Spagna nemmeno c'era una legge antidoping, quindi sul banco degli imputati Fuentes e compagnia rischiano di essere accusati di attentato alla salute pubblica. E così i nomi non si fanno. I nomi non si conoscono. Il Cio fa finta di nulla, e la Spagna si limita a tirar fuori il nome di Cipollini o quello della Real Societad. È di ieri la deposizione dell' ex ciclista Joseba Beloki, che come da prassi ha negato «in maniera categorica» di aver conosciuto e «scambiato parola» con Eufemiano Fuentes. Comparendo in videoconferenza in veste di testimone, Beloki ha negato di conoscere i documenti sequestrati a Fuentes in cui figurano le sigle J.B. e BLK assieme a un piano sportivo del 2005 e ai pagamenti di sostanze dopanti, e che fosse sua una sacca di sangue fra le oltre 200 sequestrate dalla Guardia Civile nel maggio 2006, nell'ambito dell'Operazione Puerto. Stesso atteggiamento tenuto anche da un altro corridore spagnolo Isidro Nozal, che risultò positivo per Epo-Cera durante il Giro del Portogallo nel 2009, ha negato di essersi dopato.
Parlando invece in occasione di un meeting con il presidente della FIFA Sepp Blatter, il presidente della Wada John Fahey si è chiesto perché l'uso del passaporto biologico nel calcio sia così limitato. La FIFA lo ha introdotto nelle sue competizioni solo negli ultimi due anni. Con il passaporto biologico, i calciatori forniscono dati per aiutare i laboratori a individuare i loro profili individuali.
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