Andrea Agnelli ha ribadito il concetto: «Esistiamo per vincere, contro tutti e contro i gufi». Nulla di nuovo sotto la nebbia o il sole di Torino. Dalla fondazione dell'impero la Juventus ha dovuto fare i conti con il resto d'Italia, una contro tutti e tutti contro una. Elementare, chi vince va sullo stomaco a chi perde che non aspetta altro che la sconfitta del vincente per umiliarlo ulteriormente. C'è poi una frase ricorrente, soprattutto nelle radiotelecronache calcistiche, ed è la seguente: «Non ci sta a perdere». Ma perché mai uno dovrebbe starci a perdere? Che razza di spirito sportivo sarebbe? Si gioca per primeggiare, di sicuro questo è il gol dei professionisti. De Coubertin e la sua favoletta appartengono ad altri settore del diporto, qui ballano soldi e prestigio, qui si tratta di far quadrare i conti che spesso traballano. Andrea Agnelli non ha rivolto le sue parole alla stampa o alla squadra di Allegri ma a tutto il gruppo, alla fabbrica Juventus che, secondo qualcuno, potrebbe soffrire e subire una specie di sindrome di accerchiamento. Non risulta che tale mobbing abbia particolarmente danneggiato la stessa Juventus con il suo tot di scudetti vinti sul campo o i cinque titoli consecutivi che ha appena messo in vetrina, puntando al sesto storico, anzi leggendario per usare un'altra frase di Andrea Agnelli. Sta di fatto che anche le altre esistono per vincere, il Toro o il Milan, l'Inter o il Napoli ma con motivazioni e training autogeno differenti.
Le parole del presidente della Juventus ribadiscono il plusvalore bianconero, non arrendersi mai, anche con la condanna alla serie B, anche con le accuse di doping, anche con le illazioni, insinuazioni o denunce su favori arbitrali. Si deve andare oltre il pollaio, anzi il gufaio se questo esistesse. Gli uccelli del malaugurio fanno parte di qualunque contesa, anche condominiale. Nello sport vengono realizzati con gli insulti, gli striscioni, i fischi o il suono del clacson nelle notti di vigilia sotto le finestre dell'hotel che ospita l'odiata. Già Boniperti si era appropriato di una frase che apparteneva a un coach americano: «Alla Juventus non è importante vincere. È l'unica cosa che conta».
E i calciatori si sono fatti scrivere lo slogan sul colletto della loro casacca. Cambiando l'ordine dei presidenti non è cambiato il risultato, non muta lo slogan e il messaggio viene recapitato sulla linea dell'utente desiderato. Gufi compresi.
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