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Baggio, il fenomeno muto che lasciava a bocca aperta

Oggi compie 50 anni: parlava con le magie e i dribbling. Per Roby il calcio era un circo di 90' da cui scappare subito

Baggio, il fenomeno muto che lasciava a bocca aperta

Gol, moltissimi. Rarissime, le parole. Oggi, non prima, non dopo, questo è il giorno vero del compleanno, anticipato come se fosse uno scoop, una notizia esclusiva, il colpo giornalistico per stupire gli ignari. Roberto Baggio raggiunge cinquant'anni senza celebrazioni o eventi speciali. Resta nel suo cono d'ombra, controluce, defilato, forse avrà acceso un cero sull'altarino che era solito allestire nella sua camera d'albergo, quando andava in ritiro con la squadra. Così è, da quando trovò, nella religione di Buddha, l'equilibrio dopo le sofferenze, la gioia serena dopo i fermenti velenosi del pallone. Artista del dribbling, attore e mai clown, gatto e puma, elegante e silenzioso, capace della carezza, pronto al graffio. Tredici anni fa l'ultima sfilata, nel teatro migliore, San Siro nero di folla, l'abbraccio di Paolo Maldini, l'addio al pallone e al circo che non gli apparteneva se non in quell'ora e mezzo che è il tempo del gioco, della passione, del tocco improvviso, geniale. Poteva essere la mite Vicenza o la tumultuosa Firenze, la perfida Torino o l'ambiziosa Milano, ancora, la goduta Bologna e, infine, gli ultimi fuochi di Brescia, accanto a Guardiola e a Pirlo, comunque e dovunque maglie e magie, diverse e uguali, lo stesso film, sempre a colori, non colossale però maestoso, la sua piccolissima grandissima bellezza, lasciando a bocca aperta lo spettatore, il tifoso, il giornalista, l'avversario. Gianni Agnelli lo definì prima un giocatorino, per poi paragonarlo a Raffaello, dell'Urbinate ricordava forse la purezza del tratto, lo stile gentile, mentre Gianni Brera lo battezzò come asso rococò, dalla linea capricciosa, bizzarra e aristocratica. Eppure di lui restano fotogrammi strani e contradditori, il rigore di Pasadena, quell'altro non calciato contro la sua Fiorentina, il momento americano «questo è matto!» rivolto a Sacchi, lo sguardo smarrito nella tristezza disarmata mentre sospinge la carrozzina che tiene ancora in vita Stefano Borgonovo, compagno e amico di sempre, i fucili della caccia grossa, i riccioli ormai grigi, memoria del divin codino che ondeggiava seguendo le finte, lo slalom dei suoi dribbling tra i paletti di gambe, gomitate e tacchetti.

C'era e c'è anche un altro Baggio, allegro Baggino, spontaneo Baggino, infantile e furbo, buon narratore di barzellette. Trascorremmo insieme un viaggio verso Barcellona dove andò a ricevere un premio dalla rivista Don Balon. Due ore di volo, all'andata e altrettante al ritorno, di risate goliardiche, a raccontarne mille, anche le più infantili e sciocche, ghignando per nulla. Quella sera aveva commesso una gaffe fantozziana. Gli avevano chiesto, i colleghi spagnoli, un giudizio su Julio Salinas, ordinario attaccante del Barcellona e della nazionale, che, contro l'Italia, al mondiale americano, aveva sbagliato un gol da zero metri. Baggio provò a spolverare nella memoria una frase in spagnolo da barzelletta e disse testualmente: «Salinas es un gran torpe». Voleva dire torpedo, qualcosa che esplode come un siluro, la torpedine, ma torpe in spagnolo significa, sgorbio, storto, insomma una pippa. I colleghi spagnoli si scambiarono sguardi sorpresi, nessuno corresse la gaffe, i giornali ripresero la frase e Salinas da quel giorno venne chiamato come Baggio lo fece. Erano i tempi della gloria, un fascio di luce che ha seguito la sua storia in mezzo a cento ferite, a muscoli lacerati, ginocchia ammaccate, le stampelle come compagne sgradite, l'attesa del rientro ma non la smania di recuperare contro il tempo e la buona salute. Due scudetti, una coppa Uefa, una coppa Italia, il pallone d'oro e il premio della Fifa, roba piccola per un purosangue che oggi correrebbe con la sua criniera nel vento della Cina, tra bolsi cavalli.

Lucio Dalla scrisse che Baggio è una nevicata che scende da una porta aperta del cielo. Neve calda come il sole. Un solista anche solitario, oltre le tattiche noiose, oltre le paturnie di allenatori egoisti, oltre il frastuono volgare di folle urlanti, di cronisti invadenti e invasori, lui gigante e bambino, balocco prezioso per chi ama il gioco vero del pallone, cinquant'anni offerti anche a noi, privilegiati spettatori di uno spettacolo che ogni tanto trova lo spazio e il tempo per regalarci la bellezza, la fantasia, la libertà.

E un ragazzo di Caldogno.

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