Un giorno Rafael Nadal incontrò in finale Coria a Roma, e la partita era trasmessa in tv in chiaro. Matteo Berrettini era davanti allo schermo, e vabbé che il tennis gli piaceva, ma era un po' spazientito perché lui stava aspettando i cartoni animati. «Allora: quando finite?». Aveva 9 anni.
Un giorno Adriano Panatta era a bordo campo, lo osservò e gli disse che in futuro avrebbe servito a 220 all'ora. Matteo Berrettini lo guardò stupito, rispose «massì figurati...». Aveva più o meno 16 anni.
Un giorno Roger Federer se lo è trovato davanti sul campo centrale di Wimbledon. Dopo averlo asfaltato in tre set, è andato in sala stampa e ha affermato: «Questo ragazzo farà molta strada». Matteo Berrettini lo ha saputo, e questa volta ha ascoltato: «Mi ha dato una lezione. Imparerò». Aveva 23 anni, era solo meno di due mesi fa.
Tre episodi per raccontare come nasce un campione: con testa e cuore. E soprattutto per spiegare che Matteo Berrettini non è un fulmine a ciel sereno nel tennis che conta, ma il frutto di un lavoro costante che solo un team affiatato come il suo poteva affrontare. Avendo ovviamente nelle mani uno come lui.
Insomma: il match vinto contro Monfils l'altra notte al quinto set, è stata la storia perfetta di un italiano che adesso può sognare sempre più in grande. Caduta e poi ascesa in un'altalena di emozioni che i cinque match point avuti da Matteo raccontano alla perfezione. Soprattutto il primo, affrontato con il servizio sul 5-3 nel set finale e spedito neanche a rete, ma sotto, con un colpo che probabilmente non gli verrà più nella vita: «Ho perso il grip della racchetta, ma che ne so come ho fatto a colpirla così la pallina...». Emozione.
Quella che ci sta restituendo la storia di un bravo ragazzo romano, che ama la sua famiglia, legatissimo al suo coach Vincenzo Santopadre («È davvero un fratello maggiore per me»), al suo preparatore, al suo manager e al suo mental coach: «Alla fine della partita ci siamo sentiti al telefono come al solito. Mi ha detto che ha scoperto che nella vita si può morire e rinascere più volte. Anche in pochi minuti». E in fondo questo è il succo: cadere e rialzarsi, come Matteo ha fatto dopo la lezione di Federer a Wimbledon, così come l'altra notte quando quell'ultimo maledetto punto della vittoria sembrava sempre più un miraggio. «Non è stato facile, ma una delle cose che ho imparato nella mia carriera fino a qui è che c'è sempre una nuova occasione. Fallire un punto o una partita non vuol dire che tutto è finito: si chiude un momento, se ne riapre un altro. Si guarda avanti e si riparte con un bagaglio di conoscenze migliore».
Così ha fatto, perché come dice di lui Santopadre «Matteo è un ragazzo che ha sempre voglia di imparare ed è molto curioso». Un ragazzo senza eccessi, sopravvissuto a un infortunio al ginocchio e alla passione per gli spaghetti cacio e pepe.
Con la testa sulle spalle e con il talento al servizio del sacrificio. Rafa Nadal adesso se lo ritroverà davanti in semifinale e sa che non sarà facile, tutt'altro: «Picchia forte. Ha fatto tanti progressi. Mi aspetto un match duro».
Perché in fondo se - come ha detto Matteo - la partita con Monfils è stato come Django Unchained del suo regista preferito Tarantino («Una sfida all'ultimo sangue»), chissà cosa potrebbe fare adesso a uno che un giorno gli ha oscurato un cartone in Tv. Ore 23,30 Eurosport 1, Sky e Dazn
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