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Bolt ha fatto tris, l’Italia ha fatto fiasco

nostro inviato a Berlino

Bolt ha fatto tris e l’Italia ha fatto pena. Ora non vi fate ingannare dalle chiacchiere di Franco Arese, grande ex atleta, non altrettanto grande presidente federale, che si aggrapperà ai piazzamenti che valgono una faccia meno devastata nella classifica a punti per nazioni. No, guardate in faccia la realtà di un’Italia che, per la prima volta in un campionato del mondo, non acchiappa neppure una medaglietta, ma soprattutto mostra una povertà di leader, di talenti, di tecnici, da far impallidire anche l’ottimista Gianni Petrucci, presidente del Coni che ha cercato di dar la sveglia ad Arese e alla sua atletica. «Patti chiari, fuori chi non s’impegna, faccia piazza pulita e ricominci da queste sconfitte: in tre anni l’atletica può ricostruire qualcosa».
Ieri l’Italietta di questi mondiali ha ingoiato le ultime delusioni, mentre Usain Bolt in compagnia dei suoi amici jet si è avviato a conquistare il terzo oro, pareggiando quelli di Pechino e dimostrando di esser ancora e sempre più grande di Michelone Phelps. Niente record del mondo e tutto sommato è una buona notizia: anche Bolt sa essere umano. Staffetta chiusa da Asafa Powell davanti a Trinidad e Gran Bretagna, mentre si è spenta la fiammella italiana nelle gambe di Cerutti, finito in retrovia al sesto posto (38”54) in una partita resa più semplice dalla squalifica notturna della staffetta americana, ma anche nel cambio sbagliato fra Collio e Di Gregorio. Ci poteva stare un posto sul podio, ma bisognava filare davvero. I nostri hanno corso. Invece i giamaicani sono devastanti nello sprint e lo hanno dimostrato anche con le donne.
Loro fanno scuola, gli americani annaspano: ieri anche le donne si sono fatte metter fuori in semifinale per un infortunio della Lee. Comunque popoli beati rispetto al nostro. Vedete, per esempio, Gibilisco nel salto con l’asta: ha mostrato faccia intraprendente salvo arenarsi ai 5,65. Per poi veder vincere il campione olimpico, l’australiano Hooker (m 5,90) che ha fatto fuori due francesi. La Claretti ha lottato nel martello (71,56), per strappare un ottavo posto, dove la polacca Wlodarczyk ha vinto con il record del mondo (77,96).
Dopo la sfilza di camminatori dalla faccia pallida (nella marcia i russi hanno lasciato niente a nessuno), ieri le strade di Berlino sono state invase dal treno nero dei maratoneti africani. Abel Kirui, figlio di un cacciatore di antilopi keniano, sceso dall’inestinguibile sorgente di talento della Rif Valley, ha dimostrato di essere un re degno della corsa regina. Ed ha riportato Berlino e la sua gente sulle strade a inseguire questi straordinari uomini della fatica. Maratona veloce, corsa fra tifosi appassionati: i keniani hanno rinsaldato il regno di cui hanno preso possesso a Osaka due anni fa, dopo essere rimasti all’asciutto per vent’anni. Doppietta keniana (anche Mutai davanti all’etiope Kebede) poi replicata in pista dove le antilopine dei 5000 metri hanno costretto a ripassare la lezione agli etiopi nemici di sempre: Keruyot e Kibet in volata, la Defar davanti a un muro. Nel mezzo dei nostri disastri merita citazione il settimo posto della nostra Weissteiner, prima bianca sbucata dalla selva nera africana.
Nella sfilata di personaggi vecchi e nuovi si è fatto largo a suon di balzi da gattone Dwight Phillips, superdecorato del salto in lungo che si è infilato nella bacheca degli immortali vincendo il terzo titolo di campione del mondo, impresa riuscita neppure a Carl Lewis e Mike Powell (due a testa) che, insieme a Bob Beamon, Jesse Owens e Ralph Boston, hanno fatto la storia a stelle e strisce di questa specialità. D’accordo Lewis ha vinto quattro ori olimpici di fila, lui e Powell sono andati su misure superiori agli 8,54 con i quali Phillips ha vinto, però anche la statistica dice qualcosa. Solo il cubano Ivan Pedroso ha fatto di più, vincendo in questa specialità 4 titoli di fila.

Invece Irvin Saladino ha sminuito la sua grandezza di campione del mondo e campione olimpico uscendo subito con tre nulli. Amen

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