nostro inviato a Londra
Qui non si corre, si vola. Quando cominci a far la conta dei più grandi crei un partito, una fazione, comunque un rosso e un nero. «I am the greatest», ha detto Usain Bolt dopo la finale dei 200 metri. Ha aggiunto pudicamente: il più grande atleta vivente. Pace all'anima di quelli che non ci sono più. Ha copiato uno dei grandi must di Muhammad Alì che però lo disse con convinzione e senza pudore e con quel tanto di voglia di far imbufalire il resto del mondo. Usain invece è un ragazzone che corre velocissimo verso la leggenda e si è reso conto che senza di lui il mondo dello sport avrebbe meno luce. Si sente il più grande anche se conosce la storia dello sprint: non sopporta Carl Lewis, ammira Jesse Owens. «Sono cresciuto guardando Michael Johnson battere record su record». E si è accodato: nel battere record.
Sì, in questo momento Bolt è il più grande atleta vivente mediaticamente parlando, e riesce a tener botta ai divi del Dream Team del basket ed anche a quelli del tennis e della F1. Dici Bolt e basta la parola. Come dicevi Merckx e sapevi di chi parlare. Oggi dici Phelps come una volta dicevi Mark Spitz, parlavi di John Mc Enroe o Borg, per finire con Pete Sampras. Dici Ayrton Senna, non ti scordi mai Roger Federer e magari il pensiero corre a Michael Jordan. Grandi campioni, personaggi che ti giochi in ogni discorso, campioni della gente e campioni per la gente. Contano le conquiste ma pure l'effetto mediatico. Poi ognuno si fa la sua classifica. Meglio Muhammad Alì o Rocky Marciano? Jessie Owens o Carl Lewis? Ognuno li può disegnare come vuole: Alì combattente politico, Carl Lewis primo showman, Senna un angelo finito male, Michael Jordan il primo dominatore del pianeta, Mark Spitz il primo a vincere sette medaglie d'oro in una olimpiade, Michelone Phleps il primo a superarlo ed oggi è l'uomo che ha vinto più medaglie in assoluto. Eddy Merckx era un cannibale, Roger Federer un indomabile.
Nelle classifiche dei più grandi è facile correre da una parte all'altra del mondo, da un decennio all'altro, da un secolo all'altro. Ma oggi più dei valori assoluti conta l'impatto sulla gente, la capacità di appartenere alla gente. Ecco perché la visuale può cambiare ed allora ci sta che Bolt sia il più grande del mondo anche se Jacques Rogge, il presidente del Cio, continua a opporsi fieramente all'idea. L'ultima dice questo: «Bolt sarà nella leggenda solo quando avrà fatto tre-quattro Olimpiadi come Lewis». Magari Rogge si affretta a mettere l'interesse personale davanti alla storia, però ci può stare. Bolt in due Olimpiadi ha vinto 5 medaglie, Lewis è arrivato a 9. Ma Lewis non aveva il dono della simpatia immediata che produce Bolt. E non è un caso che King Carl sia diventato subito antipatico anche al nuovo The Greatest. Bolt aveva due paroline sulla punta della lingua. Ha atteso il momento e ieri ha schiantato Lewis non solo nei tempi della corsa. «Vorrei dire due parole a Lewis», ha iniziato a dire con il faccione della festa. Ma non troppo. «Ho perso ogni rispetto per lui. Il doping è una cosa seria e avanzare sospetti su un atleta mi fa davvero rabbia. Penso che voglia solo attirare attenzione su di sé perché non si parla più di lui». Il ragazzo è stato ben istruito sul tipo. Motivo della polemica una intervista di re Carl alla rivista Sports Illustrated in cui Lewis avanzava dubbi sulle performances di Bolt. Se è vero che Usain è un'anomalia biologica, si può. Se è vero che il suo è un patrimonio genetico eccezionale alimentato da allenamenti specifici e forza psicologica, si può. Ma il bello della storia è quel pizzicarello fra primedonne.
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