Brasile spinto dalla storia Ma col Cile fa gli scongiuri

Brasile spinto dalla storia Ma col Cile fa gli scongiuri

Non c'è storia tra Brasile e Cile, verrebbe da dire. Per capire perché, basta leggerla la lunga storia raccontata dai numeri: la Seleçao ha vinto 61 dei 68 precedenti. Su tutti, gli scontri diretti mondiali: tre volte su tre hanno vinto i verdeoro. Eppure in Brasile mettono le mani avanti anche davanti alla storia.
Non si fidano del Cile di Sanchez e Vidal. Guardano alla sfida che apre gli ottavi di finale con cautela, nonostante Neymar che si è caricato sulle spalle una squadra che non è da catalogare tra i Brasile più belli della storia. Lo sa anche l'equilibrista Felipao Scolari: «Siamo all'80 per cento rispetto alla squadra che un anno fa vinse la Confederations Cup». Forse anche perché c'è un Paese che chiede solo una cosa, la sesta coppa. Una pressione incredibile destinata ad aumentare ancora di più, se possibile, d'ora in avanti. Il Ct deve fare da parafulmine per evitare che Thiago Silva e compagni finiscano travolti. «La storia dice che siamo superiori al Cile? Ma in campo non vanno le statistiche, questo Cile è un'altra cosa. È vietato sbagliare». Scolari fiuta il pericolo e fa l'occhiolino a Belo Horizonte: «Nessuna torcida ci ama come questa». Una città con il destino nel nome colorata di verdeoro, ma c'è una macchia rossa che si aggira da esorcizzare e «curare», visto che oggi vigileranno tredicimila agenti sul derby.
La storia dice che alla Roja porta sempre male il Brasile, ma la maledizione è reciproca. Lo dicono le ultime due volte mondiali, anche allora faccia a faccia agli ottavi. Prima coincidenza. Entrambe le volte il Brasile vinse ma poi non alzò la Coppa. Seconda coincidenza. Battuto in finale nel 1998 in Francia dai padroni di casa e nei quarti in Sudafrica dall'Olanda poi finalista. Una sola volta il Cile portò bene: era il 1962, si giocava proprio nella terra della Roja, in semifinale il Brasile vinse 4-2 e poi trionfò, bissando il 1958 e rimediando al maracanazo.
E fu storia. Allora in campo c'era un certo Amarildo, che prese il posto di Pelè infortunato nella seconda partita. L'attaccante non segnò, lo fece in finale, ma ricorda bene quella partita. Aveva il numero 20 e appena 21 anni e racconta: «Loro entrarono in campo pronti a tutto... ma noi eravamo senza paura». Un certo timore, invece, traspare dalle parole di Scolari e Amarildo non ci sta: «Sta dando molta importanza al Cile e questo non è un bene. Siamo superiori a loro. Dobbiamo andare in campo con questa mentalità come nel '62». Una lezione più che un consiglio da un campione del mondo e soprattutto da una punta vera. Quella che finora è mancata a questo Brasile al quale anche Amarildo dà appuntamento al Maracanà: «Per cancellare quella macchia». A Neymar non resta che finire il lavoro. Scolari lo lancia così: «Non vuole essere il migliore del mondo, ma vincere la Coppa».
Sulla strada c'è il Cile che ha affilato tutte le armi, proprio tutte. Ha puntato il mirino sull'arbitro. Di Alexis Sanchez l'ultima voce del coro cileno. E la Fifa ha designato il migliore, Howard Webb, ma sul tema il portavoce del Brasile ha perso la pazienza: «Ci mancate di rispetto». La verità è che anche questi mezzi sono la conferma che il Cile ci crede. Perché adesso c'è il ct Sampaoli che ha dato gioco e razionalità a una squadra chiamata anche lei come il Brasile a riscattare una vergogna.

Nel 1989 nella sfida decisiva al Maracanà per la qualificazione a Italia '90, il portiere Roberto Rojas detto Condor simulò di essere stato colpito da un petardo (in realtà si ferì con una lametta nascosta nel guanto). Un'onta che costò ai cileni la squalifica anche da Usa '94. Così Brasile-Cile è anche un derby per lavare due macchie: il maracanazo e il condorazo. Ma stasera se ne potrà cancellare solo una dalla storia.

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