Meno male che il calcio c’è. Brutto, sporco e cattivo, ma è tornato con gran sollievo di tutti noi che abbiamo un pallone al posto della testa. Ogni anno, alle soglie dell’estate, quando i campionati si concludono, andiamo in crisi di astinenza ancor prima di correre in vacanza. Le domeniche (e anche i sabati) senza pedate sono malinconiche come bottiglie vuote: non hanno senso. I tornei quadriennali internazionali - mondiali ed europei- aiutano a superare lo smarrimento dovuto all’assenza di partite rituali, ma non bastano. Oddio, in luglio e agosto ci sono venute in soccorso le Olimpiadi. Personalmente ho scoperto di potermi appassionare addirittura al tiro con l’arco: la finale in cui ha trionfato la squadra italiana è stata emozionante. Quell’ultima freccia scoccata da un signore corpulento, di cui non rammento nemmeno il nome, ma verso il quale nutro un sentimento di gratitudine, mi ha trafitto il cuore. Medaglia d’oro. Nessun dolore ma un godimento dell’anima. Confesso, inoltre, di aver seguito con la tachicardia a mille tutti gli assalti di scherma: uomini e donne, bravi per non dire eroici, che hanno nutrito l’orgoglio degli italiani. Ammetto di non aver trascurato neppure il sollevamento pesi e il lancio del giavellotto.
Tutto bello, tutto esaltante. Parliamoci chiaro: ogni sport è meritevole della nostra attenzione, ma è pur vero che è un surrogato del calcio, una sorta di metadone che assumiamo a dosi massicce per sopperire alla carenza di gol, moviole, discussioni idiote sempre le stesse, noiose - sui presunti e mai accertati errori arbitrali. La vita in fondo è ripetitività: si dorme, si mangia un paio di volte al dì, si lavora. Spesso non piace vivere, ma piace ancor meno morire. Cosicché anche la routine dà un senso all’esistenza. Esagero? Mannò. Questa è la realtà. E la liturgia del football, per noi calciofili praticanti (sia pur sedentari), non è un riempitivo, ma una ragione per attendere con letizia un week- end gravido di partite. Attesa talvolta delusa, perché la tua squadra perde, e per te è preferibile una vittoria rubata che non una onorevole sconfitta.
Già. Siamo sportivi per modo di dire, accecati dal tifo e, non raramente, talmente faziosi da constatare con chiarezza soltanto i rigori a favore della nostra squadra e da negare quelli contro. Questo non fa parte dello sport: è il frutto acido del nostro essere uomini frustrati; dobbiamo prenderne atto, magari riderci su per guarire, dato che il tifo se non sbaglio è una malattia grave.
Consapevoli di ciò, noi calciodipendenti, salutiamo con soddisfazione la ripresa dello spettacolo, che tale non sarà sempre, al quale comunque non rinunciamo. Sincerità per sincerità, aggiungiamo che il campionato di serie A in procinto di cominciare non parte sotto i migliori auspici: è il più povero della storia di cui abbiamo contezza, mortificato dalla crisi, afflitto dalla spending review di cui è vittima, avvilito dall’ennesimo scandalo delle scommesse. Nonostante queste verità, siamo felici che i campi di gioco si animino nuovamente e che le tribune si affollino ancora.
Soprattutto consola l’idea che in tivù ci sia qualcosa di meritevole da vedere, dopo mesi di vecchi telefilm, documentari della nonna in cui si riproponeva la centesima volta il Duce impegnato nella battaglia del grano, revival di Mina e Don Lurio. Massì, ridateci il processo del lunedì, le dirette in notturna e all’ora di pranzo, la Domenica sportiva e tutte le bischerate che girano attorno al pallone.
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