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Il caso trans nel volley: "Ora sono pronta per un club femminile"

Gioca in una squadra maschile ma può cambiare: "Test ormonali nei limiti chiesti da Federvolley"

Il caso trans nel volley: "Ora sono pronta per un club femminile"

La storia di Eleonora Pescarolo è quella di una 22enne che ama la vita e la bellezza, che poi sono le due facce di una stessa medaglia: quella dello sport. Ed è proprio lo sport - la pallavolo, per l'esattezza - il filo conduttore che ha portato Eleonora, 22 anni, a coronare il suo sogno di transizione di genere. Eleonora incarna infatti il «secondo tempo» (femminile) di un film cominciato con un «primo tempo» (maschile) quando si chiamava Nicholas. Poi, a 15 anni, la decisione di liberare la ragazza che chiedeva di venire allo scoperto. Una svolta senza ripensamenti. Nel contempo inizia l'avventura di giovane pallavolista in giro per l'Italia. Nicholas ci sa fare con le alzate, bagher e schiacciate e così diverse società se lo contendono. Nello stesso tempo comincia il lungo percorso transgender che, due anni fa, dopo l'operazione, lo ha portato al definitivo cambio di sesso. Da allora è Eleonora.

Ha sempre giocato in squadre di volley maschili. Nel 2023 farà parte di un club femminile?

«Sì. Sarà il coronamento di un iter di vita di cui lo sport è solo una parte, se pur importante. Lo considero un fatto normale».

«Normale» fino a un certo punto, di cose «eccezionali» nella sua vita ce ne sono tante.

«Le cose che vengono definite eccezionali, a volte, sono frutto della mancata conoscenza della materia».

Si parla di «esami ormonali» e di «parametri stabiliti dalla Federvolley» necessari per l'iscrizione al campionato femminile. Ci spieghi.

«Per la legge italiana sono donna. Sul piano sportivo gli esiti riferiti ai livelli di testosterone nel sangue rientrano ampiamente negli standard previsti dalla Federazione Pallavolo».

Facciamo un passo indietro. Quando era Nicholas quali problemi ha avuto?

«Pochi. Mi ritengo fortunata. Certo, di ignoranti ne ho incontrati. Ma ho sempre cercato di convincerli a capire il mio mondo attraverso la forza del dialogo».

E ce l'ha fatta?

«È stata una grande vittoria: non ho mai risposto alle offese chiudendomi in me stessa o, peggio, deprimendomi. Ero felice, soddisfatta e questo ha finito con lo smontare i detrattori, alcuni dei quali sono diventati amici».

Lo sport ha contribuito a questo processo virtuoso?

«Moltissimo. Ho trovato in ogni società dove ho giocato e soprattutto in quella attuale, il San Nicolò (Piacenza), dirigenti, compagni di squadra e tifosi sensibili. Rispettosi della mia identità».

C'è chi pensa che le giocatrici transgender vogliano partecipare ai campionati femminili perché sanno che, in quanto ex uomini, possono contare su performance superiori a quelle delle colleghe femmine.

«È una grande sciocchezza».

Perché?

«Le cure ormonali che una transgender è tenuta a seguire per tutta la vita non la trasformano in Wonder Woman o in Superman, anzi per certi versi la indeboliscono».

La sua vicenda viene accostata a quella della giocatrice di volley brasiliana Tifanny Abreu che ha giocato per vari anni anche in Italia nel campionato femminile di serie A. È un paragone che regge?

«No. Essenzialmente per due ragioni. Primo: Tifanny ha un curriculum sportivo internazionale che certo io non ho; secondo: Abreu ha iniziato il suo percorso di transizione di genere ben dopo il periodo adolescenziale, potendo contare su una struttura fisica già ben consolidata. Del resto, basta guardarla per rendersi conto della sua potenza muscolare che sprigiona forza da ogni poro».

Il suo, invece, è un corpo filiforme.

«Questo dipende dal fatto che la mia cura ormonale è iniziata già in età post puberale. È una differenza sostanziale che ha avuto conseguenze negli anni successivi e che continuerà ad averne in futuro».

In che rapporti è con i suoi genitori?

«Stupendi. In passato il dialogo è stato difficile, ma non si è mai arrivati alla rottura. Ci siamo sempre voluti bene e rispettati a vicenda».

Il volley è stato il «ponte» che l'ha tenuta collegata agli affetti familiari.

«Da ragazzino mi ha consentito di rompere il cordone ombelicale che mi teneva legato a casa, aiutandomi a essere indipendente e ad affrontare la transizione di genere. Ora che, da donna, ho raggiunto maturità e consapevolezza, lo stesso sport mi ha riavvicinato ai genitori in clima di perfetta comprensione reciproca».

Eleonora è stata sempre dentro di sé, anche quando per la burocrazia si chiamava Nicholas.

«Non rinnego nulla di Nicholas. Ma il presente è quello di Eleonora».

Cosa farà quando smetterà col volley?

«Amo l'astrofisica».

Confida in una buona stella?

«La stessa che mi ha protetto finora».

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