Il calcio non è un gioco per bravi ragazzi. Lo dice qualunque allenatore che voglia vincere. Il bad boy è il sale in campo, un po' meno nello spogliatoio. Di solito, oltre che bad e boy, devi essere big per non passare inosservato. Poi c'è il bad boy per voce popolare e quello che te lo dimostra con i fatti. Bad Boy non significa solo Balotelli style, c'è stato il Sivori style, una certa faccia del Maradona style, oggi a Parma ci sarà di tutto un po'. Dici Cassano e basta la parola. Dici Tevez e ti tocca il rewind. In Inghilterra ne hanno raccontata qualcuna. Qui siamo alla beatificazione, non solo per le gesta sul campo. Conte se lo coccola: «Me ne avevano parlato in un certo modo e, invece, è un professionista impeccabile». Nedved se lo gusta: «Poteva stare nella nostra grande Juve. Ricorda me e Conte insieme, che grinta!». E qui non specifica se loro due debbano rientrare nella categoria bad boy o se sia meglio tirarne fuori Carlitos.
Il campionato porta la Juve a Parma e Cassano ad incrociare l'unica squadra che gli abbia fatto davvero un fuoco di sbarramento quando si trattò di trovarselo nello spogliatoio. I compagni di nazionale conoscevano difetti e pregi del pibe di Bari vecchia. E si preoccuparono soprattutto dei difetti. Lui replicò con sprezzo: «A Torino non potrei giocare: non voglio fare il soldatino». Versione bad, senza dubbio. Invece Tevez è stato accolto con rullio di tamburi. Apache, d'accordo, ma senza frecce spuntate. Ed infatti Carlitos si è messo a parlare con i gol e soprattutto con quel modo di giocare che regala alla Juve qualità e talento, classe e imprevedibilità.
Parma-Juve immaginata attraverso Cassano e Tevez ti dice dove sta la differenza tra il bad boys che vince e fa vincere e quello che diverte ma ti fa vincere poco: magari qualche partita, difficilmente i grandi trofei. Basta dare un'occhiata al curriculum dei due per capire. Entrambi hanno avuto l'opportunità di giocare in grandi squadre, ma guardate come se la sono cavata. Cassano è transitato da Roma, Real Madrid, Milan e Inter: ha vinto uno scudetto spagnolo, uno italiano e due supercoppe nostrane, mai con il piglio del protagonista. Semmai con quello del combina guai e qualche volta ci ha messo lo zampino giusto.
Tevez è partito con l'impronta del campione, tre volte il pallone d'oro sudamericano, titoli con il Boca Juniors e il Corinthians prima di approdare per sbaglio al West Ham in Inghilterra, ma rifarsi subito a Manchester: due Premier, una Champions, un mondiale per club, una coppa di Lega con lo United, uno scudetto, una coppa d'Inghilterra e una Community Shield con il City. Oltre a medaglia d'oro e titolo di capocannoniere con l'Argentina nella Olimpiade 2004. Nel palmares non c'è gara, nel tocco in più se la giocano. Nella grinta vince facile Tevez con quel modo di muoversi e lottare che ricorda un vecchio personaggio dei cartoni animati. Invece Cassano sembra un cartone animato e ogni tanto un giocatore di classe. Sempre bad e meno boy. A Parma ha rispolverato il meglio del repertorio. Conte gli ha regalato una carezza definendolo il pericolo pubblico: «Grandissimo giocatore, grandissimo talento, se continua così andrà ai mondiali». Tevez parla da solo, con i gol: 6 in 10 partite. Ha il gusto della maglia con dedica e sta lottando per un posto in nazionale. In Italia sarebbe titolare perfino per il codice etico di Prandelli.
Carlitos poteva stare nella Juve di Nedved, Fantantonio non ci sarebbe stato mai. Però, oggi come allora, meglio un Cassano che cento Amauri.
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