Peccato giocarsela senza il numero 10. Dieci inteso come maglia, quella che in una grande partita non dovrebbe mai mancare. Certo, se poi la indossa Boateng.... Mani in testa e basta romanticismi. Non ci sarà il numero 10 in Juve-Napoli perchè siamo entrati nel calcio del marketing e ci siamo dimenticati del pallone pane amore e fantasia. Anche se stavolta c'è qualcosa di romantico davvero: mancherà il dieci per un atto d'amore e un atto dovuto. Ovvero quel sentimento e quel rispetto del calcio, e nel calcio, che non ci dovrebbe abbandonare mai. Il Napoli la ritirò nell'estate del 2000 nel nome di Maradona, troppo grande per non lasciare dietro di sè la scia del bello (numero 10) e impossibile (darla a un'altro). E se qualche successore l'ha tenuta con grande dignità calcistica (Zola e Mauro per esempio), impossibile non farsi prendere dallo sconforto quando l'hanno indossata altri temerari.
Alla Juve l'hanno accantonata, che non significa ritirata, in omaggio al distacco da Del Piero, l'uomo che ha rischiato di sfilacciare l'amore del popolo juventino in mille rivoli e tradotto nel pro Piero e contro Agnelli. Deve esser stato difficile, anzi contro natura. La Juve ha una tradizione di uomini e qualità che hanno fatto storia, se non l'epopea. Giovanni Agnelli, ovvero L'Avvocato, avrebbe risolto tutto con una battuta. Del Piero era Pinturicchio come Baggio un coniglio bagnato, se non un nove e mezzo. Invece l'Agnellino, a modo suo un tipo da numero dieci, in questa Juve fa il numero otto e ha badato al sodo, ad evitarsi altri problemi.
Ecco, ci saranno due fantasmi o forse mille fantasmi, sabato nello Juventus stadium. Qualcuno di questi campeggia nelle foto del passato, nei filmati che riattizzano il ricordo allo stadio. Ci fu Sivori, un dieci per entrambe le maglie. Eppoi Platini e tanto basterebbe, detto che la linea dell'incancellabile bianconero è tracciata dalla continuità Sivori-Platini-Del Piero. Poi c'è tutto il disperso nel tempo: Giovanni Ferrari e John Hansen, Fabio Capello e Liam Brady, Roberto Baggio, Beniamino Vignola e Vinicio Verza. Ci fu perfino Marino Magrin, centrocampista di belle speranze imbarcato dalla Juve nel 1987, che per due stagioni ebbe la colpa di vestire la maglia 10 subito dopo Platini. «Il mio successore all'Uefa? Magrin naturalmente», e Michel ha continuato a infilare il coltello nella lesa maestà.
Del Piero ha cominciato a portare il 10 bianconero a venti anni e non se n'è staccato più. Nemmeno ora che gioca in Australia. Le sue maglie bianconere sono andate a ruba. Forza del marketing, direte. Forza del calcio che conquista. In quel dieci ognuno può vederci il sogno del bambino, la giocata che non t'aspetti, la bellezza armoniosa dell'artista. Il pallone italiano conosce l'ebbrezza del numero dieci come solo brasiliani e forse argentini. Non c'è popolo calcistico che ne abbia visti di più e migliori.
Certo, poi vedi Napoli e rischi di morirci ripensando al post Maradona. Quella maglia indossata da Roberto Policano, che sembrava un Rambo e tirava mazzolate al pallone, Benny Carbone, Fabio Pecchia e Fausto Pizzi, Beto e Igor Protti, ultimo possessore a realizzare un gol in serie A. Con grande intuito e immutato amore il Napoli decise di ritirarla. Poi, in serie C1 (2004-2006), fu riesumata: le regole imponevano la numerazione fissa dall'1 al 11. L'ultimo ad indossarla in C1 è stato il Pampa, ovvero Roberto Sosa. L'ultimissimo Mariano Bogliacino nella Supercoppa di C1. Povero Diego, dov'è finita la tua maglia.
Forse, un giorno, Napoli e Juve faranno rinascere il numero degli incanti, ma che dire quando se lo sono sentite richiedere da El Kaddouri e Bendtner? Neppur a spiegar loro la storia... Ecco, questa sarà l'unica consolazione di sabato sera: meglio tenerla ancora nel cassetto.
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