Che male se la Mercedes fa la Ferrari

Vettel e Kimi paiono senza regole. Lewis e Bottas ubbidiscono al team

Che male se la Mercedes fa la Ferrari

Il mondiale si può rischiare di perderlo in due modi: rimanendo coerenti con se stessi o diventando incoerenti. La Ferrari sembra aver scelto il secondo. L'autoscontro fra compagni nella notte di Singapore è ciò che di più lontano ci sia dalla liturgia imposta ai piloti dalla chiesa di Maranello. Il credo agonistico professato dalla Ferrari vuole infatti che quest'ultimi siano prima di tutto sacerdoti al servizio della macchina e del marchio, e solo poi giovani ambiziosi dediti a umane cose come il sacrosanto ed egoistico desiderio di vincere un Gran premio.

È vero, non è bello per niente ritrovarsi un talentuoso e arrogante Verstappen sul collo subito pronto a passarti al via come se fossi un pincopalla, ma Vettel avrebbe dovuto pensare alla causa superiore: il mondiale, la pole da far fruttare, il sorpasso in vetta. È vero, non è bello per niente correre a trecento all'ora sapendo di non poter vincere anche se disponi di una monoposto per farlo, ma domenica Raikkonen non avrebbe dovuto scordare che il servizio alla causa di Seb era proprio il motivo del fresco rinnovo per un anno. Nella decisione presa da Marchionne e Arrivabene avevano infatti pesato i suoi 38 anni, la sua appagata velocità a corrente alternata e, quindi, anche la prevista disponibilità ad aiutare il compagno. Per avere il Kimi rischiatutto di domenica, tanto sarebbe valso alla Ferrari sottoscrivere un accordo coraggioso e lungimirante come quelli che la Red Bull ha fatto in passato con Vettel prima, Ricciardo poi e Verstappen adesso: cioè investire sui giovani mettendo in macchina il prodigioso baby Leclerc, o premiare il veloce e volenteroso Giovinazzi.

Tutto questo, sia inteso, fermo restando che la F1 poggia il proprio mito non sulle imprese di compagni e scudieri imbrigliati dai team come vuole Maranello ma sulle lotte fratricide e i sorpassi azzardati e i liberi tutti e vinca il migliore. Però se da decenni la chiesa ferrarista professa un credo diverso, chi ne varca la soglia lo deve rispettare. Invece Vettel ha difeso un'inutile leadership alla prima curva dimenticandosi del proprio mondiale e degli interessi del team, e Kimi è partito di notte e sul bagnato come se dovesse andare a vincere il Gran premio della vita, scordandosi di tenere d'occhio Hamilton sulla destra. Una «disubbidienza» che a molti ha dato la sensazione che squadra e piloti non avessero studiato e concordato quella che sarebbe dovuta essere la strategia alla partenza. Risultato: la Ferrari e i ferraristi hanno negato se stessi e tutto ciò in cui da decenni il team aveva sempre creduto. Un'incoerenza apparsa schizofrenica tanto più pensando alle molte critiche piovutegli addosso negli anni proprio per gli ordini di scuderia e le vittorie decise al muretto. Come dimenticare Barrichello e Schumi o Massa con Alonso...

Solo che adesso rischiamo il paradosso: che la Rossa perda il mondiale

perché all'improvviso si è messa a fare come la Mercedes degli anni scorsi con Rosberg ed Hamilton, e che la Mercedes lo vinca perché si è piegata al credo della chiesa di Maranello. Più che un paradosso, quasi un'eresia.

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