Al Chelsea non basta l'Oscar e la Juve riscopre Quagliarella

Bianconeri solidi e grintosi ritrovano l’anima della scorsa stagione Uno-due del brasiliano, ma Vidal e il bomber dimenticato pescano il pari

Al Chelsea non basta l'Oscar e la Juve riscopre Quagliarella

Un ritorno da Signora. La Champions ritrova la Juve che tien alto blasone e tradizione. Ripesca dalla panca delle sue dimenticanze Fabio Quagliarella, juventino per caso visti i tanti dubbi estivi, ma l'uomo della provvidenza in una serata che finisce con il rosa della vita interpretato dalla divisa color shocking di Buffon e dalle reti di Vidal e del napoletano. Pari a casa dei campioni d'Europa, un paio di occasioni buttate, una difesa che si è tenuta stretta, con qualche strattone pericoloso (Chiellini su Terry) e nonostante la tassa Bonucci (se non ne combina una, non è lui). Juve con cuore e anima della stagione scorsa, Chelsea in stile travet: tutti routinier, c'è la classe, un po' meno la prepotenza che interpretava Didier Drogba.

Ci voleva un Oscar per abbagliare la Juve. Dici Oscar e in Brasile di solito non sbagli: il nome fa garanzia nel basket ed anche nel calcio. Sarà casuale ma questo Oscarito ventunenne, che deborda in Oscar dos Santos Emboada junior, è un tipo con gocce di sangue nobile per lasciar traccia: tre gol nella finale del mondiale under 20 del 2011, vinta dal Brasile contro il Portogallo, piede dell'ultimo passaggio, ma pure piede da gol nella nazionale olimpica di Londra. Ieri, per la prima volta titolare allo Stamford Bridge, aveva il compito di occuparsi di Pirlo. Di Matteo gli ha spiegato il senso del termine francobollare e questo ha capito al volo, ma siccome non gli bastava giocarsela così ha fatto intuire a tutti la bontà del piede. Nel giro di due minuti ha tirato calci come fossero cazzotti per stendere il bisontino sbuffare e rullare della Juve. Ma questa era una Signora tutto cuore, che ha bagnato il ritorno in Champions ritrovando quel modo di giocare aggressivo e determinato che l'ha fatta grande l'anno passato in Italia.

Partita che per venti minuti si è giocata in un tira molla del centrocampo: mi allungo io, ripieghi tu e viceversa. Nessuno deciso a scoprirsi, entrambe brave nel cercare di tener corto il campo. Ne è uscito un inesorabile piacere della strategia calcistica ma con quel “quid” in meno che si legge gol. Nessun tiro in porta, tanto correre, affannarsi, buttarsi avanti e indietro. Insomma piacevole, ma ci voleva il brivido dell'emozione. Juve con il solito assenteista internazionale, leggasi Giovinco (tre cosette in tutta la partita), fondata sul gioco fisico di Vidal e Marchisio, in attesa delle pensate, un po' offuscate, di Pirlo (sono sempre problemi quando gli appiccicano una sanguisuga) e di una intraprendenza altalenante nel lungo fascia. Chelsea serpentone in agguato, ma con la faticosa incombenza del dover proporre gioco: guizzante e poco più in Hazard, enigmatico in Torres, solido nei soliti noti. Poteva uscirne una melassa, se dopo una ventina di minuti la Juve non avesse pescato due occasioni da gol, mancate prima con Marchisio, poi con Vucinic e che l'avrebbero fatta pentire nel volgere di un morso calcistico. La solita, immancabile, tassa Bonucci (a sua volta immarcabile nelle fesserie) ha scoperto il protagonismo di Oscar: un tiro da fuori deviato dallo stopper ha battuto Buffon. E dopo due minuti un pasticcio fra Bonucci e Pirlo gli ha lasciato il tempo per un giro di valzer con tiro a rientrare che valeva la bellezza calcistica e il raddoppio.

A quel punto la Juve poteva esser spacciata ed, invece, ha dimostrato di essere squadra solida, determinata, essenziale, pescando dall'esuberanza di Vidal, pur azzoppato, il sinistro che ha rimesso la tremarella agli inglesi. Tre gol nel giro di otto minuti, anche lo spettacolo si è preso la sua parte e la rivincita.

Il resto è venuto negli altri trequarti d'ora. Partita tenuta sul filo di un equilibrio tecnico e tattico, Buffon ha tenuto a bada le conclusioni avversarie (poche, la migliore quella di Lampard), finché dalla panchina non è rispuntato Quagliarella.

Sette minuti per guardare negli occhi gli avversari, eppoi il guizzo che conquista e incenerisce: Mikel sbaglia un disimpegno, Marchisio ne approfitta per infilare quella palla che un gioco della Quaglia fa diventare da sogni d'oro.

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